Spunti di riflessione

Il mio primo LIBRO! 'Pensavi fosse amore, invece era un disastro. La fine di una relazione con un narcisista manipolator…

‘NON HO MAI INCONTRATO NESSUNO COME TE!’ Dai, alzi la mano chi non si è mai sentita dire una qualche frase del genere. E lì in mezzo c’è tutto il nostro amor proprio, la nostra bellezza di femmine/prede, la nostra autostima! Ci sentiamo ‘viste’, protette, amate come mai ci era successo prima. Non ci fa preoccupare il fatto che accada in fretta, pensiamo che LUI sia semplicemente quello giusto.
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Che cosa ci fa essere ciò che siamo

Che cosa ci fa essere quello che siamo. Arrabbiati, tristi, gioiosi, spensierati, leggeri, zavorrati, affossati, disperati, incuriositi. Le persone che frequentiamo. Alcune imposte (penso ad esempio banalmente ai colleghi di lavoro, che perlopiù non ci scegliamo), altre proprio liberamente scelte negli spazi che ricaviamo, pur nelle nostre vite frenetiche. L'amore che dimostriamo. Quello che sappiamo dare. Quello che pensiamo di meritare. I rischi che siamo disposti a correre. Hanno a che fare con le decisioni, con l’attribuzione di significato data agli eventi, con l’esperienza passata. I film che guardiamo ed i libri che leggiamo. Arricchiscono il nostro pezzo culturale: ci fanno commuovere, rispecchiare, immedesimare, incazzare. I viaggi che facciamo ed i posti che visitiamo. Etnie, cibi, colori, odori, prospettive semplicemente diverse. I soldi che abbiamo e come scegliamo dì investirli. È una questione di allocazione di priorità.

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10 ottobre 2022: la giornata internazionale della Salute Mentale

L’estate è impietosa, i chiletti accumulati, il jeans che va stretto, del bikini non ne parliamo neanche. Poi arriva ottobre. E non c’è nessuno che ti chiede: ‘Perché non sei in spiaggiapiscinaTrebbia?’ ‘Perché non sei in una baita al fresco a goderti un bel piatto di polentacinghialestrudelvinbrûlé? ‘Perché non sei in campagna a passeggiare e a raccogliere papaverigirasolimore?’ Ottobre è decisamente compassionevole. Le foglie ti scricchiolano sotto i piedi, se sei fortunata le cimici ti girano alla larga. Ottobre ti tiene dentro, serenamente accoccolata sul divano con un libro o l’ultima serie di Netflix, con la copertina di lana vintage che un po’ prude. E tu devi solo stare tranquilla, alla fine della tua giornata puoi guardare il mondo fuori dalla finestra con una tisana bollente in mano senza sentire di aver perso l’aperitime più cool della stagione. La giornata della salute mentale ad ottobre ha un senso. Perché ti costringe a stare un po’ ferma. A prenderti cura di te. A fare i conti con ciò che non è stato. Alle occasioni perse, a quelle arrivate inaspettatamente. Alle giornate incredibili e a quelle che non hanno prodotto

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Sono pronta al rientro. (O quasi)

L’estate è ormai andata, settembre si affaccia dietro l’angolo. E’ un mese che mi piace da sempre, che sa di buono, che porta colori belli, che preannuncia la mia stagione preferita, che apre al nuovo che ricomincia. Tornare-a-casa. Dopo aver attraversato con fatica il primo pezzo dell’anno ed essere arrivata alle soglie di agosto un po’ al tappeto, ho vissuto un mese soleggiato, nuotando, esplorando, assaggiando, fotografando, chiacchierando, ridendo, leggendo. Ho imparato delle lezioni, nel bene e nel male, che mi porterò dentro per il resto dei miei giorni. Sono stata molleggiata in acque bluissime, tra il vento, la sabbia e gli scogli, oppure persa in paesini variopinti. Arrotolata tra sapori, odori, culture distanti da quelli a cui sono abituata. Ho trovato una dimensione più pacifica e più lucidità, mi sono cautamente scrollata via dalle spalle qualche pesantezza personale e familiare, che più di una volta mi aveva fatto dire ‘sono un po’ stanchina’, che manco Forrest Gump. Ho collezionato nuovi ricordi, tirato dei respironi, riposato testa e cuore, ripreso un kg, colorato la pelle con l’abbronzatura. Non ho trovato quel centro di gravit

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Una nuova consapevolezza

Percorso terapeutico lungo, intenso, a tratti commovente. Mamma single, si è ricostruita piano piano, passo dopo passo. Strategie disfunzionali che appartenevano a schemi collaudati e reiterati nel tempo, che un po’ per volta abbiamo visualizzato e imparato a mollare: la fragilità non è un difetto tremendo, per cui basta ostentare orgoglio a tutti i costi o finte presunzioni; assecondare i desideri di tutti tranne che i propri non porta mai a nulla di buono; esistono gli altri, ci si può anche fidare: degli uni e degli altri, intendo. Ergo: provare a ritagliarsi una finestra vera in questo mondo fatto di solitudini e social; gli sbagli sono (anche) delle opportunità; non ci sono sconti o facili soluzioni al dolore, senza accettare di sentirlo fino in fondo; smetterla di provare ad anestetizzarsi e/o sedarsi con cose che con noi c’entrano poco o nulla; chi non si vuole far comprendere sbaglia due volte: non si dà la possibilità di una comunicazione chiara e lineare e si impedisce la gioia della condivisione.

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L’attribuzione causale degli eventi

Ci accade qualcosa di brutto: chi è il responsabile? È il gioco vecchio come il mondo che facciamo tutti, tutto nessuno escluso, dell’attribuzione causale. In gergo meramente psi lo chiamiamo il locus of control. Interno (sono io?) / esterno (sono gli altri?). Oppure combinato: interno - sono io quando c’è un successo, esterno - sono gli altri quando c’è un fallimento; oppure viceversa, il senso di colpa me lo tengo tutto per me e i successi sono degli altri, che d’altra parte sono decisamente più bravi di me. Che dire. Il discorso è ampissimo e il materiale è tanto: in letteratura e che io ‘maneggio’ quotidianamente dentro al mio studio. Albert Camus affermava che ‘La vita è la somma di tutte le nostre scelte’. Arriviamo allora a quella parolina magica: responsabilità. Perché la responsabilità di ciò che si è e di ciò che si fa dipende da quanto si può e si vuole decidere. E poi, da non sottovalutare, dal coraggio di assumersi a fondo la propria. Perché è (anche) il modo in cui trattiamo gli altri che ci definisce e ci qualifica: ciò che scegliamo di essere e come decidiamo di starci.

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Speciale Festa del Papà 2022

“I figli sono come gli aquiloni: gli insegnerai a volare, ma non voleranno il tuo volo. Gli insegnerai a sognare, ma non sogneranno il tuo sogno. Gli insegnerai a vivere, ma non vivranno la tua vita. Ma in ogni volo, in ogni sogno e in ogni vita rimarrà per sempre l’impronta dell’insegnamento ricevuto.” (Madre Teresa) Ai papà che festeggiano oggi, auguro una capacità di amare che salva, protegge e accudisce, ma senza soffocare l’identità profonda e i bisogni del figlio. Occuparsi delle proprie creaturine significa farle sentire al sicuro, mentre crescono, imparano ed esplorano tutti i loro contesti - familiare, scolastico, amicale, affettivo. Allora sì che si sentiranno abbastanza forti e capaci per la propria indipendenza, potranno tagliare quel cordone e volare nel mondo!

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L'erba del vicino

Partiamo da un dato di fatto: in Italia una famiglia su 3 è composto da una persona sola. La società non può ignorarlo, ma deve riorganizzarsi sulla base di questa evidenza. In un’era pandemica chi si è ritrovato solo, magari pure a lavorare da casa in ‘remote’, la parola che usano gli inglesi per lo smart-working (rende a sufficienza l’idea della distanza che si crea tra noi e il mondo?!), spesso si è un po’ perso a tu per tu con se stesso: la troppa permanenza domestica ha contribuito a sentirsi un po’ sfigati, talora problematici, sicuramente un tantino più fragili. Eh già: oggi si scopre che la mancanza di interdipendenza può accrescere la vulnerabilità. E questi, proprio questi, quelli che per anni hanno schivato convivenze e forzature di tempi/incastri/orari per cavalcare occasioni e stimoli estemporanei, oggi magari anelano un cicinin a quelle case in cui c’è chi urla abbassaaa il volumeee da una stanza, all’altra, bollitori fumanti, computer perennemente accesi, rumorosissimi sciacquoni del bagno, profuma-ambienti ai frutti esotici e cucce-scrivanie rabberciate. Incredibile, eh, ma quell’erba vicina sembra sempre più verde.

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Due anni dopo

Due anni e un giorno fa. Mattia ricoverato a Codogno. L’inizio. Le cose che ci ha insegnato questa pandemia? Guardare avanti... ma non troppo avanti. Un pochetto avanti. E poi a smetterla un po’ con le promesse. Perché certe promesse hanno dovuto essere disattese: aperitivi, cene, concerti, viaggi. Perché anche ogni più piccola decisione ha dovuto farci pronunciare, ameno nella nostra testa, la parola Covid. Abbiamo visto l’ottimismo degli arcobaleni sventolare gaudente sui balconi, abbiamo fatto # improbabili auspicando una sintesi buona, sicuramente migliore di quella che è stata. Ok, non sarebbe stato immediato, forse neanche così indolore, ma sarebbe stato presto: l’importante? Impegnarsi responsabilmente, che ognuno facesse il suo piccolo pezzetto. Abbiamo imparato a gestirci nell’isolamento, chi più, chi meno. Abbiamo imparato a fare le pizze più buone della vita. Abbiamo imparato a piantare salvia, calendule e narcisi sui balconi. Abbiamo imparato ad approfittare di ogni squarcio di sole, di ogni refolo di vento, di ogni boccata d’aria. Abbiamo imparato a manutenere la salute fisica, ma anche quella mentale. Abbiamo impara

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Manipolatori di anime

Tante volte in terapia usiamo la parola manipolazione, ma spesso mi accorgo che si rischia di non comprendere veramente il significato più profondo che il termine implica se ciascuno di noi - terapeuta/paziente - partiamo da premesse diverse, che se non esplicitate possono creare ulteriore confusione. Quello che io intendo con manipolazione non si può definire una bugia vera e propria: in fondo il bugiardo sa quando mente e quanto tradisce. Ce l’ha ben presente. Il manipolatore tendenzialmente no, glissa, arriva a credere davvero alla sua narrazione. Prende spunto di volta in volta da qualcosa che probabilmente un giorno è anche successo davvero, è anche stato detto davvero: a lui o magari non a lui, ma in un contesto completamente diverso, con un senso completamente diverso. Il manipolatore è un grandissimo chef: lo trita, lo frulla, lo gira, lo mescola con quanto la persona che ha davanti in quel momento gli sembra voglia sentirsi dire. Ed è bravo, ma che dico, bravissimo: usa il tono, il ritmo, le argomentazioni che sono per quella persona più familiari. Ecco perché il manipolatore fondamentalmente seduce, ecco perché spesso è difficile smascherarlo.

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La relazione terapeutica

Ogni relazione terapeutica implica un momento di accudimento, cura, protezione da parte del professionista verso il paziente. Ma entrare in terapia non significa dover ricevere attenzioni, affetto, "amore" - nel senso più ampio del termine, ovviamente - dal terapeuta. Temere quindi di non valere - o di non valere abbastanza - o di essere inadeguato, noioso, inutile; sentirsi banalmente uno tra i tanti pazienti nell’agenda del terapeuta può essere tutt'altro che terapeutico, anzi: riapre la voragine del buco relazionale della MANCANZA. Di amore, certo: quell'amore familiare, circolare, rotondo, sistemico. Le richieste a volte eccessive di un paziente possono allora avere un po' questo sapore: "Ricollocami, dammi un ritorno di quanto valgo per te, ALMENO per te". Se il terapeuta dovesse (legittimamente!) sottrarsi a questa sollecitazione potrebbero insorgere movimenti ondivaghi nel paziente: ci ho provato / ho chiesto / mi sono sentito rifiutato / vado via / e se avessi esagerato / resto / quando ripartiamo. Eppure sì, sì è uno tra i tanti: ma questo garantisce che il terapeuta si impegni moralmente, eticamente, deontologicamente e professionalmente, dedicandosi, studia

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Una nuova planimetria degli spazi

In un lungo week-end di stacco che mi sono regalata dopo un periodo particolarmente ‘denso’ e qualche piccolo pensiero di salute, mi sono immersa nella lettura di mucchi di riviste di arredamento, una delle mie grandi passioni. La lunga permanenza in casa, necessaria, a volte costretta, altre semplicemente autoimposta, ha sviluppato un fil rouge che ho scoperto ritornare ovunque - nelle nuove progettazioni, nelle foto degli arredi, nelle planimetrie - e che si muove essenzialmente su tre fronti. - la leggerezza: armadi e cassetti sono stati in gran parte liberati e svuotati, ci si è accorti con fastidio del disordine, pile di documenti, cose, strati, o anche solo degli oggetti che affollavano un po’ a caso i ripiani e gli anfratti; - la privacy: niente da fare, l’open space è superato. L’home working, ma anche questa dimensione domestica più lunga e più pervasiva, impone degli spazi - fisici e mentali - basati su separazioni/connessioni, arredi modulari, ambienti divisi dove si possa stare semplicemente tra se’ e se’, raccolti e in silenzio, oppure dando spazio a quel ‘fare’ intimo della propria creatività. Serve allora chiudere letteralmente una porta (

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Speciale Halloween 2021: vita-da-strega

Nell’infanzia tutte ci siamo trovate di fronte al fatto che le streghe esistevano! (… e facevano pure un bel po’ di paura!). Io me le immaginavo anziane, con la pelle di cartacrespa, un bitorzolo peloso sul mento e circondate da mille gatti neri e un alone di mistero. Credevo fossero vecchie megere temprate dalle mille battaglie della vita, con storie da mormorare sottovoce, connotate da eventi tragici eppure straordinari. Le vedevo abitare catapecchie piene di polvere e muffa, lontanissime dai rumori della civiltà e dai rapporti con gli altri. Nella settimana che precede la festa di Halloween, nella lunga notte in cui le anime dei morti tornano sulla terra con streghe, demoni e fantasmi, ho voluto dare una faccia, un luogo e dei pensieri un po’ magici ad una personalissima idea di strega moderna. Credo la strega di oggi sia in definitiva una donna che vive in pieno il proprio tempo. Ha molta cura di se', prova la gioia, la rabbia, il piacere, il dispiacere. Investe nella vita, sua, soprattutto, e poi quella dei ‘suoi’ altri.  Sa esprimere i propri desideri e i bisogni di sviluppo, di espansione, di crescita, di scambio reciproco nel dare e nel ricevere

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Mi licenzio o resto?

Scontri importanti sul lavoro e ripensamenti di una paziente. Starò facendo la scelta giusta? Mi licenzio? Il capo isterico, ma ostativo alla sola idea di andarsene che lei timidamente palesa: chiaramente ognuno dei due gioca il suo ruolo, al ‘meglio’ che può; lui è inevitabilmente scontento di perdere una lavoratrice (lei in particolare o in generale un elemento che in questo momento fa parte della squadra, il che comporterebbe ricerca, formazione di nuovo personale…) e quindi fa di tutto perché questo non avvenga. Ora: il punto NON è lui quello che lui vuole o non vuole (accampa anche scuse narrando di eventi traumatici personali trascorsi quando ‘era un giovane apprendista’: i suoi traumi passati risolti/non risolti, sono e restano un SUO pezzo di responsabilità!), il punto è quel che vuole la paziente. Il che ritengo debba essere calibrato in un’ottica prospettica e mai sull’onda calda del litigio, ma detto questo: se poi l’onda calda del litigio è troppo reiterata - ovvero capita troppo e troppo spesso - perlomeno, sempre per quanto riguarda la SUA personale soglia di tolleranza - allora è un altro discorso. Credo ognuno di noi debba fondamenta

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Eclettica (ma non paracula!)

Più volte ultimamente sono stata sollecitata rispetto ad una autoriflessione sul mio metodo e l’approccio terapeutico. Mica banale, eh, non crediate. Potrei anche definirmi eclettica, il che sembrerà un po’ paraculo, ma in realtà io credo che, al di là delle fondamenta che ognuno di noi professionisti ha maturato nel corso degli studi, la terapia debba essere fondamentalmente settata sui bisogni più profondi che il paziente ci porta. Ordunque. Un po’ dal percorso di specializzazione, un po’ dalle formazioni e dagli approfondimenti successivi, un po’ dall’esperienza sul campo dentro al mio setting, ho capito innanzitutto cosa-non-faccio. Beh, il che è già qualcosa, direte voi. Ecco: sicuramente evito di accanirmi per ‘aggiustare’ il mondo secondo il desiderio e l’aspettativa del mio paziente. No, quello ritengo non si possa proprio fare. Al contrario, penso sia indispensabile consapevolizzarlo sulle lenti con cui percepisce gli eventi della (sua) vita: non tanto l’evento specifico in sé, che talora tuttavia posso anche farmi raccontare, magari pure con dovizia di dettagli, ma come vive lui/lei quell’evento, in relazione al suo bagaglio espe

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Il tanto temuto rientro

Perché il rientro dalle ferie è un affare serio. Perché settembre is the new gennuary. Settembre vellutato, sofisticato, con l’aria così bella. E’ il tempo della ripartenza, in cui rifiatano le trombe dopo che si è tirato un gran respiro. E’ il tempo dei buoni propositi: un settanta per cento finirà nello sciacquone del water, un venti per cento avrà aria sì e no fino alle prime caldarroste, il resto, forse, resisterà. Piccolino, ma resiliente. Concentriamoci su quel dieci, allora! Uno dei miei buoni propositi (quelli che speriamo rientreranno nel dieci per cento di successo 😜) sarà quello di ridurre il più possibile tutte le occasioni in cui vedo, ma non osservo. Sembra un gioco di parole, ma ha un senso profondo. Capita, e capita spesso se non si sta attenti: un po’ perché siamo convinti delle nostre teorie, che chissà come, chissà quando hanno perso quantomeno la dignità dubitativa dell’ipotesi, un po’ perché siamo troppo occupati a pensare e poco a sentire, a fidarci meno delle nostre sensazioni che delle nostre fissazioni. Vi direi pensateci… ma no, sentitevelo.

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La gratitudine di fine estate

Questa non è sicuramente la foto più bella della vacanza, ma ci sono molto affezionata. Camargue: dopo una giornata di giretti in lungo e in largo, avevamo deciso di buttarci in una spiaggia a est di Saint Marie de la Mèr per un paio d’ore. Soffiava un po’ di maestrale, non fortissimo, ma quel che bastava per farti pungere fastidiosamente dalla sabbia e muovere tutto il telo, non c’era sasso che tenesse. Avvoltolata in una pashmina come un baco nel suo bravo bozzolo, mi sono appisolata così, nel naso l’odore della salsedine, arruffata e stropicciata, con la mia acqua San Pellegrino, Camilleri, la crema solare, i sandali che avevano macinato gran km. Come se avessi mollato lì la valigia di pesantezze dell’anno trascorso, che qualche volta mi era sembrato di non riuscire proprio più a trasportare. Ho pensato che mai come quest’anno ho osservato singoli, coppie e famiglie in vacanza con un misto di tenerezza e gratitudine: tutte quelle foto scattate coi sorrisoni e i nasi spellati, i cappelli in testa, il tempo lento - ritrovato, guadagnato, lo sgarretto culinario - che poi alle calorie dai-che-ci-si-pensa-al-rientro.

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Istantanea di un pomeriggio d'agosto

Una foto rubata in un pomeriggio d’agosto. Un acquazzone improvviso sulla spiaggia, nuvoloni grigi carichi di pioggia che in un attimo hanno invaso il cielo e ricoperto le nostre teste. In fretta e furia, nel ventone che girava, abbiamo raccolto zaini e creme solari e siamo scappati sotto ad una tettoia di un baretto a proteggerci dai primi goccioloni. I bimbi, i più felici, perché per molti nell’attesa ci è pure scappato un gelatino. Corpi che si risvegliano dal torpore dell’afa e si attivano veloci, corpi ridotti all’essenziale, un costume da bagno, le ciabatte, che cercano un riparo con cose raccattate un po’ a caso, i salviettoni, i teli da mare. Che bella la sensazione del corpo che si mette in moto a contatto con le prime gocce di pioggia, un corpo per troppo tempo rinchiuso, contenuto, coperto: è la più misteriosa e la più magnifica delle tecnologie, eppure rischiamo di perderne il contatto.

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Speciale Festa della Mamma 2021

Con Jennifer de La vie en Rose abbiamo pensato di lavorare a quattro mani per dar vita ad un nuovo progetto che potesse dar voce alle sue clienti alle prese con l'arte (mai facile!) dell'essere mamma. Ci sono arrivati messaggi, mail, audio, piccioni viaggiatori coi quali le clienti-mamme si sono raccontate nel loro quotidiano e nei tratti principali che le contraddistinguono, persino ironizzando con le piccole-grandi manie di cui tutte, in fondo, siamo portatrici! Il tutto è stato accuratamente letto, al bisogno approfondito, ritagliato, ricucito e ricomposto, come in un abile lavoro di sartoria di classe, per dar vita a ben quattro profili che racchiudessero un po' tutte le rappresentazioni. Mamme, ma prima di tutto donne, complesse e complicate, come direbbe la Mannoia, sicuramente mai banali! Scopriteli uno ad uno con i disegni del giovane Francesco!

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Ditemi cosa vi aspettate da me che lo aspettiamo tutti insieme

Un progetto nuovo nuovo, un’iniziativa nata un po’ per caso, con tanto slancio creativo e moltissima volitività! Io, ormai mi conoscete, psicologa psicoterapeuta, da anni impegnata a supporto di singoli, coppie, sistemi familiari. Francesco, un tredicenne un po’ magico, dai pensieri veloci come la sua penna, che vede il mondo con una lucidità un po’ ironica e un po’ dissacrante e lo disegna con tutti i colori che ha.

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5 libri tutti al femminile

Marzo da sempre è un mese un po’ particolare, che tiene dentro un sacco di cose belle, la nuova luce, il profumo dell’aria che cambia impercettibilmente, la primavera che fa capolino... eppoi c’è un anniversario speciale: quello della Giornata internazionale dei diritti della donna, o la festa della donna, come siamo solite ricordarlo. L'8 marzo di ogni anno ricordiamo le conquiste sociali, economiche e politiche, ma anche le discriminazioni e le violenze di cui le donne sono state (e ahinoi sono ancora!) oggetto in molte parti del mondo. Ho deciso di celebrarlo con le storie di cinque donne protagoniste della letteratura, che mi sono piaciute per l’intensità e la volitività, la bellezza e l’audacia. In questo articolo voglio regalarvi 5 libri che raccontano storie di donne e parlano dell’empowerment femminile in modo talora giocoso, ma incredibilmente intenso, talora faticoso, ma pur sempre pieno di coraggio. Un regalo per voi, da farvi o da farvi fare. • Inauguro con un grande, grandissimo classico che amo particolarmente: Piccole donne. E spezzo una lancia sulla mia preferita, la vulcanica Jo, seconda delle quattro sorelle March. Una giovane intempera

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Di neve e di pace

Ci sono delle credenze popolari che, ammetto, mi hanno sempre affascinato moltissimo. Non parliamo di quelle del profondo nord. Una, in particolare, vorrebbe far usare agli eschimesi un numero imprecisato di vocaboli diversi per indicare la stessa parola: neve. Sembra invece che in questo caso (non ho fonti autorevoli come il mitico Angela, ma sono comunque piuttosto credibili), la realtà sia più deludente della “leggenda”. Ahimè, pare che nella lingua inuit le parole per la neve siano proprio solo due: “qanniq” che sta per il verbo “nevicare” e “aput” che indica la sostanza che è nevicata, ovvero la “neve”. L’errore è l’esito di alcuni affissi (perlopiù incomprensibili e molto lontani dalla nostra cultura linguistica!) che pare cambino la natura semantica della parola di partenza, in certi casi arricchendola di precisazioni e dettagli, senza però dover far uso di intere frasi. Ma se proprio proprio vogliamo rimarcare un gran bel punto di forza del popolo eschimese, una cosa la possiamo trovare: in quasi tutte le lingue del mondo figura almeno una parola che sta ad indicare la guerra. E qui viene il bello: nella lingua inuit, invece, no

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Sei una pecora nera?

“Questa mania di dare dei pazzi a quelli che non si comprendono. Che pigrizia mentale! (A. Nothomb)” Ne avevamo già parlato, eppure mi capita di tornarci spesso in terapia per alleviare quel sottile, ma insidioso senso di colpa che si infila nel non sentirsi perfettamente allineati con alcuni elementi dell’”araldica” familiare. E allora un po’ ci si sente tenuti in disparte, emarginati, un po’ esclusi, un po’ non ci si ritrova mai perfettamente nell’identità collettiva del gruppo-famiglia. Perché sono proprio le cosiddette pecore nere i componenti che non percorrono i consueti sentieri, già noti, già battuti: o si lanciano in ambiti del tutto sconosciuti ‒ il primo all’università (o il primo a NON farla!), il primo scegliere di convivere senza sposarsi, il primo ad impegnarsi in alcuni percorsi, magari più impervi, apparentemente più precari, lontano dalla sicurezza del buon posto-fisso alla Zalone. E il far rispettare il proprio credo, rappresentare i propri valori, dar forma e significato alle proprie credenze, proprio perche DIVERSE da quel si-è-sempre-fatto-così-in-famiglia può far fare loro fatica, nella rappresentazione di se’ – a

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La vita è troppo breve per rancori a lungo termine!

Mi sento di fare un po’ di chiarezza sull’emozione della RABBIA che mi capita spesso di trattare in terapia: una delle emozioni basiche, universali, che appartengono a tuuuuutta l’esperienza umana comune e condivisa, a prescindere da età, cultura, etnia, etc. (ehm, capito, voi che mi dite: “Iooo? Io non mi arrabbio mai!”). Quel che cambia è la gestione – e conseguentemente la modalità in cui si esprime (e qui potremmo sbizzarrirci con la mimica facciale e posturale, inflessioni vocali e vari comportamenti classificati quali ‘aggressivi’...). La base neuropsicologica è uguale per tutti: parte da un’elevata attivazione del sistema simpatico autonomo con la motivazione classica di una risposta antagonista d’attacco/di contrasto/di vendetta. ➡️ Che cosa la sollecita? - Di base la percezione di una MINACCIA, ma può addirittura persistere anche dopo che la minaccia è passata. - Oppure cognizioni e pensieri valutativi e giudicanti che attribuiscono la colpa di un evento ad un ALTRO (in carne ed ossa: “Mi arrabbio con mio marito quando...” o semplicemente un fattore esterno “Mi arrabbio quando piove e mi salta la gita fuori porta a cui

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Pit-stop a Zone

Si corre si corre e... non si vede mai il punto d’arrivo. Buona pratica allora sarebbe quella di domandarsi COSA vogliamo veramente. 🎯 Qual è il mio traguardo? 🔜 Se non lo conosco con esattezza come posso pensare di raggiungerlo? Per farlo serve ‘tarare’ innanzitutto la nostra bussola 🧭, quella cosina che ci dice dove ci troviamo e qual è la Zona all’interno della quale stiamo trascorrendo la maggior parte del nostro tempo. Vi condivido una sintesi delle Zone più consuete: ♠️ Zona del tran tran: è quella delle cose quotidiane, un po’ necessarie, un po’ da delegare a qualcuno (oppure quantomeno da condividere) o a sistemi automatizzati. ♣️ Zona del disinteresse: è quella delle cose che non hanno nulla a che fare con noi: magari siamo anche bravi a farle eh, ma sono da mollare se non ci appartengono perché finirebbero solo con l’essere energivore e ruba-tempo. ♦️ Zona della distrazione: è quella delle cose che ci portano gioia, ma se non siamo abili a farle sono un grandissimo spreco temporale (e anche un po’ lesivo per l’autostima!). ♥️ Zona del desiderio: è quella delle cose nelle quali risultiamo essere

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Mettete fiori nei vostri estintori

C’è una canzone che mi è saltata nella radio (ignoro assolutamente chi sia e il resto di quel che dice!): ‘Ti regalerò un estintore per le paranoie...’ Io credo che più che di estintori qui serva solo un pezzettino di amor proprio. Consapevolezza, assertività, egosintonia: chiamatela o vedetela un po’ come vi viene meglio. Ma basta per favore fare così fatica solo per compiacere altre persone e poi arrivare a doversi ‘disinnescare‘ con un... estintore! Ci sono dei perimetri. E il fardello della rabbia e della delusione che abbiamo dovuto portare lo possiamo conoscere solo noi. Mettiamolo sulla ⚖️, pesiamolo. E comportiamoci avendocelo ben presente. Mettetevelo in testa, in pancia, nel cuore: dove preferite voi. Provo a ricapitolare poche regole basiche per alleggersi dalle zavorre e lasciare che gli 🧯restino al loro posto: ✂️ Nessuno deve essere obbligato a condividere tratti di strada con chi ci riempie di parole gentili, ma non ne pensa neppure una. ⚫️ Nessuno deve essere obbligato a convivere con persone che ci strattonano verso il basso, ci buttano addosso secchiate di vernice nera e ci fanno vergognare. 🚷 Nessuno deve esser

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E basta rimuginare sul latte versato!

Ci intortiamo con tempi condizionali, ci aggrovigliamo sull’uso improbabile di congiuntivi che manco Totò e Peppino, ci arrovelliamo su un passato potenzialmente diverso, ci crogioliamo in dimensioni malinconiche che manco l’eroina dostoevskijana di un romanzo russo o la bella Gwyneth di quella meraviglia di film che è Sliding Doors (ndr. ecco cosa rivedere al più presto divanate sotto ad una copertina coccolosa!). Queste e mille altre congetture sono tipiche del ragionamento controfattuale. Mi spiego meglio: persistere nell'immaginare realtà alternative alla realtà attuale, in quel qui-e-ora che contraddistingue il nostro oggi, apre ad implicazioni (soprattutto emotive!) che ci fanno fare una gran fatica. Allora... quale ruolo può rivestire un pensiero ricorrente di questo tipo? Scarsino: a prima vista, pare davvero poco utile. Ruminare su un passato che non c'è più o rovesciare le decisioni già prese non sembra avere molto senso. Se ‘avrebbe potuto essere‘ lo sarebbe semplicemente stato. E basta accanirsi, dai. Ve lo potrei concedere solo se, tramite una cognizione di questo tipo, imparaste a soffermarvi davvero su qualcosa di accaduto - o che non è ac

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Happiness is...

Felicità oggi è spesso un’ossessione, da mostrare e dimostrare: nello stato, in una foto, nel profilo. Come se fosse omologata: come se ci fosse un’idea esteriore, conforme a tutti, che deve rendere, appunto, tutti contenti. Posto un selfie e cerco quanti sono i pollici in su. Posto un selfie e faccio i conti con quella cognizione negativa che abita molti di noi: io-non-valgo. Oppure sì? Perché l’idea ha molto a che fare, paradossalmente, con qualcosa che è strettamente connesso alla paura intrinseca dell’uomo di non essere mai abbastanza felice - e di non valere mai abbastanza: quando invece basta separare il piacere necessario da quello superfluo per imparare a stare, finalmente, BENE. E voi, come la proseguireste la frasetta? Felicità è...

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L'esercizio del giorno: mettersi alla prova!

Da poco ho fatto una cosa che proprio non mi appartiene: con l’amica di sempre, Jennifer, che per l’occasione mi ha vestito con gli outfit della stagione autunnale del suo negozio-boutique amatissimo qui a Piacenza, mi sono messa in posa davanti all’obiettivo di un'amica fotografa. Un po’ sono io, un po’ c’è una Silvia inedita che ho ritrovato tra i tanti scatti. Che dire. Il tutto mi è piaciuto: l’idea di mettermi in gioco, soprattutto. E forse alla fine mi è venuto anche un tantino più facile di quel che pensavo (... perché la confidenza e la complicità di una vita serviranno pure a qualcosa, o no?!). Avvertire un ostacolo che ci impedisce di fare un pezzettino, per quanto banale, o che ci altera nei funzionamenti, anche quelli più basici (‘Non riesco più ad entrare in un supermercato’; ‘Non mi sento di guidare in autostrada’) è già di per se’ una buona molla per provare a cambiare, anche solo una cosina piccola piccola. E voi? Cosa fate quando vi sentite incastrati in un perimetro che vi confina e vi limita?

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Video: promo della nuova newsletter mensile gratuita con Jennifer de La Vie En Rose

Eccoci: ci piacerebbe un sacco fare un altro pezzettino con voi, chiacchierando mensilmente di un argomento che di volta in volta decideremo, magari anche insieme, come vi raccontiamo nel video della diretta di oggi! Abbiamo pensato a chi ci ha seguito nelle nostre dirette della quarantena e sui social, chiedendoci cose (durante, dopo...!), incuriosendosi e lasciandosi un po’ sollecitare dalle nostre riflessioni. E poi a tutte le altre, quelle donne che tirano e tirano: i remi in barca, le redini, la corda, i capelli con la piastra. Un clic al link e vi iscriverete alla newsletter mensile gratuita pensata a due teste e a quattro mani con la mia amica Jennifer! ... e un simpatico cadeaux di benvenuto all'iscrizione!

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Sento, dunque sono

Giochiamo con Cartesio: “Ho sensazioni, dunque sono”. Perchè senza quelle, chiare ed accessibili, perdiamo il contatto con i nostri bisogni, la nostra collocazione comunitaria, la nostra relazione con gli altri e l'ambiente. Perdiamo, insomma, il nostro “fondamento nel mondo”. E allora abbiamo bisogno di costruirci intorno immagini vivide, perché le idee astratte hanno più forza se sono espresse con descrizioni dello spazio fisico. Per questo ogni tanto “ci sentiamo leggeri”, mentre altre volte “ci sentiamo a pezzi”. E per questo questo diciamo che “la mia vita è una lunga strada piena di ostacoli” o “il nostro rapporto è a un bivio” e molte altre metafore che evocano un percorso. Qui non si tratta semplicemente di modi di dire, ma di modi di essere in quel particolarissimo rapporto dinamico tra il nostro corpo e il mondo. Senza quei confini che talora sembra che vogliamo imporci a tutti i costi. Pensateci, è proprio così: chissà quante volte la tristezza ci ha scaldato il petto, ci ha teso il diaframma e le spalle, ci ha chiuso la gola e riempito gli occhi di lacrime. In fondo anche il dolore è un sintomo e va legittimato come ta

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Video: la festa della mamma e qualche riflessione sulla genitorialità

Con Jennifer de La Vie En Rose: oggi lei a righe e io con una giacca (quasi) seria. Ma roba da matti. Comunque: con l’occasione di questa gran festa della mamma dietro l’angolo, abbiamo parlato di stili di attaccamento e delle tre tipologie di essere-mamme (con un flash sulle mamme giraffe 🦒): a) le amiche b) le generalesse c) le confuse 🧘🏻 Alla prima categoria appartengono quelle che, pur di non essere definite brutte-e-cattive, crescono dei piccoli pargoli-dittatori che non vedranno mai frustrati i loro bisogni, che cresceranno con gratificazioni immediate, perché: ‘bisogna lasciargli tutta la libertà che vogliono, è un loro diritto!’ Quanto di più sbagliato: bambini e ragazzi hanno bisogno di regole e perimetri, di capire il (buon)senso del limite e di essere puniti se lo superano. 🤼‍♀️ Alla seconda afferiscono tutte quelle che: ‘so io cos’è meglio per te’, vogliono l’obbedienza e se la conquistano a suon di urla, minacce e castighi. A costo di tarpare ali e alette e togliere al figlio la fiducia nelle proprie (buone) percezioni. Spesso mamme privative: di coccole, di affetto, di empatia, di ‘ascolto attivo‘, di protezion

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Video, parte prima: il grillo parlante

Abbiamo nominato quel grillo parlante che tende a dirci ‘non ce la farai mai!’ e che abbiamo capito essere una cosa che vi attanaglia particolarmente perché finisce che cascate in quel ‘non fa per me’, ‘non sono portato’. Un grilletto denigratorio e lamentoso. Da un lato possiamo un po’ pensarlo come un ‘amico’ faticoso, che tendenzialmente frequenteremo poco e con il quale diraderemo le occasioni di incontro. (Della serie: ma chi ce lo fa fare?!) Dall’altro possiamo pensarlo come qualcosa che in definitiva ci appartiene - e questo già mi piace un po’ di più. Abbiamo usato la metafora del ‘condominio‘: eccolo là, il condomino polemico e rompipalle, ma che non si può sfrattare. Mi intriga allora rilanciarvela così: capite da dove arriva quella vocina - che altro non è che una vostra ‘regola’ interiore (un freudiano ve la la chiamerebbe SUPER-IO! Uuuh che parolona!) - come, quando e dove l’avete fatta vostra. Vi riporta a qualcosa che vi veniva ripetuto spesso nel passato? A qualcuno che avuto a che fare con la vostra educazione? Pensate a cosa farne OGGI e soprattutto se per voi ha ancora un senso. Non è così? Allora si confeziona un bel pa

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Video, parte seconda: la comunicazione assertiva

Abbiamo capito che un correlato fondamentale all’autostima e in generale, a questa capacità ‘difensiva‘, è la comunicazione assertiva: il potere restituito alle parole, alle nostre narrazioni. Ci piace l’idea di farvela vedere come una sorta di beverone multivitaminico alla vostra capacità di percepirvi autoefficaci! Il tutto lo sintetizziamo così: .COME parlare: il tono di voce, la chiarezza e le frasi semplici. E verificando bene l’interlocutore che si ha davanti: in una parola, il contesto. .COSA dire: esprimersi in modo educato, diretto e senza troppe remore; saper accettare una critica senza timore che intacchi il nostro se’ (ehi, permalose, dico a voi!), ma vada casomai a ‘toccarci‘ solo in un pezzo, magari pure utile (perché una qualità è un difetto che ha saputo rendersi utile!) - un comportamento o proprio una frase uscita male (è per questo che bisogna anche imparare a saperle fare, le critiche!); complimentarsi sinceramente, perché accresce il rispetto e rafforza le relazioni. Per essere simpatici bisogna trovare simpatici gli altri, non dimenticatelo! E poi trovare una grande capacità di equilibrio nelle situazioni di conflitto (passività/

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Video: tonificare l'autostima - 1

Ognuna di voi ha la sua storia, ognuna ha il suo zaino o la sua borsa, come dico sempre io: una pochette minimal o una sacca pesantona perché non sa mai cosa portare - e allora meglio metterci un po’ di tutto. Ognuna è diversa, ognuna è quella che è. Che siate estroverse, pazzerelle, lunatiche, permalose, timide, insicure, l’AUTOSTIMA ce l’avete tutte: basta solo fortificarla un po’. Fuori... e dentro (che poi scoprirete che le due parti non sono così scollegate). Con questo video, quello che io e la mia carissima amica Jennifer del negozio "La Vie En Rose" vorremmo - o almeno che ci piacerebbe - è che voi donne d'oggi trovaste, consapevoli e sorridenti, il vostro stile. Magari differente da quello che immaginavate o da quello che avreste voluto, ma unico, tutto vostro.

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Video: tonificare l'autostima - 2

La seconda parte del video (dove, ahimè, la mia connessione traballa): i cinque esercizi di stile di Jennifer. Per imparare a valutarsi con onestà, ma finalmente con quella benedetta clemenza che ci consente di sorridere allo specchio. (... l'ironia, ragazze, il potere dell'ironia!), per essere coerenti con noi stesse e con i contesti che "attraversiamo", senza avere timore di giocare anche un po', sennò che gusto c'è.

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L’azzardo di un gioco pericoloso

Vinci. E man mano che vinci tutti quei soldi la vita che vivi ogni giorno diventa sempre più misera. Vinci 50.000 € e pensi che ti comprerai una macchina nuova, che quella che hai è diventata improvvisamente un catorcio. Anche se non l’avevi mai pensato davvero che fosse un catorcio. Ti vedi alle Maldive, in Polinesia, in posti di lusso dove in realtà non hai mai desiderato andare. Ti immagini contornato da assistenti, servitori, cuochi, autisti: come se fossero di colpo indispensabili, come se ti mancasse proprio quello per essere felice. E poi vai oltre: smetterai di lavorare e andrai in prepensionamento, come se il lavoro che fai da anni, per il quale hai sacrificato tempo e relazioni, di colpo ti facesse schifo. È una cosa tipica del giocatore: schifare la propria vita e pensare di cambiarla vincendo, anche se in realtà quel desiderio (di stravolgere la propria vita, intendo) non l’ha mai veramente avuto. Perché non è vero che la vita che vivi ti fa così schifo, anzi: alla fine ti piace. Perché è diversa da tante altre vite, perché è la tua.

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8 marzo 2020

Osservo le donne che curano, senza riserve, che farebbero qualunque cosa per chi sta loro accanto, per chi è il destinatario di tutto il loro bene. Come le chiama la mia amica Camilla, con quell’ironia delicata che solo lei sai maneggiare così bene: 'gli angeli del focolare'. Forse hanno scelto di stare a casa per portare avanti quella dimensione di cura senza compromessi, forse sono state costrette a farlo. Forse non hanno mai imparato a cercare la loro  identità in quello che sono e non in quello che fanno per gli altri. Forse non sanno di poter bastare a se stesse. Eppure capita addirittura che la loro cura così avvolgente venga data per scontata, che la loro gentilezza buona sia scambiata per un dovere: sarebbero guai solo se non ci fossero. E allora queste donne si confondono, tentennano, vacillano, inciampano, cadono e si rialzano faticosamente, alla strenua ricerca di un punto fermo.  Osservo le donne che corrono tutto il giorno: casa, lavoro, due ore palestra per restare in forma, attività di cura di sé organizzate, supermercato bio e feste di compleanno da progettare (di lui, dei bambini, della mamma, della suocera, dell’amica del cuore). Corrono: silenziose

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Il disturbo narcisistico di personalità: il vampiro delle relazioni

Il narciso della letteratura per antonomasia, Dorian Gray, impallidirebbe di fronte a cotanto esercito. Decisamente un dilettante di fronte alle schiere di ossessionate/i della propria immagine che riempiono il web con le loro facce in primo piano (e non entrerò volutamente nella polemica della bocca a culo di gallina e/o ritocco imbarazzante di rughe/guance/viso sfilato: ma che, davvero?!). Al di là di cose già scritte, lette e sentite, questa intro veloce veloce mi serviva solo per fare un affondo su una cosa ben più seria: è statisticamente provato che, figlio di perfezionismo, individualismo e pressione sociale, il tratto narcisistico della personalità sia pericolosamente in crescita negli ultimi anni. Il che, facili ironie a parte, ha poco a che fare con i narciselli da bastone del selfie: dalla loro solo la pecca superficiale di un’inutile, ma innocua vanità. Ben altro è il caso del narcisista patologico - sia di tipo grandioso o vulnerabile: anaffettivo e anempatico, che sparge il suo veleno sul primo malcapitato che ha a portata di mano, anzitutto nella cerchia delle relazioni primarie: figli, partner. Personalità burrascose e manipolatrici, tendenzialmente disp

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Welcome spring: il verde che fa bene

"Forest bathing", ovverosia: pare che con l'arrivo della primavera non ci sia niente di meglio che passare del gran buon tempo all’aria aperta. Sia un prato, un campo, un bosco, una foresta, persino un parco urbano in pianura padana, seppur contaminato dalle polverine sottili che di magico hanno ben poco: l'importante è essere contornati dal colore verde, che ‘accende’ le aree cerebrali connesse ad empatia e amore. Stare a contatto con la natura equivale a prendere un super farmaco, una sorta di Multicentrum naturale per rinforzarsi: non solo con i raggi del sole cresce la beneamata vitamina D, uno dei più potenti antibiotici naturali, ma diminuiscono le infiammazioni somatiche. Insomma: la salute migliora incondizionatamente e la qualità del sonno ne guadagna; in più diminuisce il rischio di contrarre malattie cardiovascolari, diabete di tipo II, ipertensione. E poi possiamo pensare che al calo del cortisolo, che va di pari passo con la riduzione netta dei livelli di stress, ci sia un pezzettino in più: in fondo passeggiando col naso all'insù e facendo regolarmente attività fisica all'aperto aumentano le opportunità di socializzazione, di scambio, di incontro. Q

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La favola giapponese del bambù

La leggenda racconta che due agricoltori passeggiavano per il mercato, quando la loro attenzione venne catturata da alcuni semi sconosciuti. Chiesero al venditore cosa fossero e quello rispose che venivano dall’Oriente e che erano speciali. Ma non svelò il perché ai due curiosi, dicendo loro che se li avessero acquistati e piantati, dando loro solo acqua e concime, lo avrebbero scoperto da soli. I due agricoltori li acquistarono ed entrambi li piantarono, seguendo i suggerimenti del venditore. Passò un periodo e nulla accadde, nonostante altre piante fossero già fiorite e avessero dato frutti. Uno dei due si lamentò sostenendo che quei semi erano una truffa. Da quel momento non se ne prese più cura. L’altro agricoltore tenne duro e continuò a concimarli. Tuttavia nulla accadeva. Era passato talmente tanto tempo che anche l’agricoltore più tenace era sul punto di lasciar stare, ma un giorno vide finalmente crescere un bambù. E in sole 6 settimane le piante raggiunsero l’altezza di 30 metri. Durante il lungo periodo di inattività il bambù aveva generato un articolato sistema di radici, grazie al quale avrebbe poi potuto prosperare per molto tempo.

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L'autostima amicanemica

L'autostima è il processo soggettivo che porta il soggetto a valutare e apprezzare se stesso tramite la consapevolezza del proprio valore personale. La parola autostima deriva appunto dal termine "stima", ossia la valutazione e l'apprezzamento di sé e degli altri.

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Donne, balocchi e profumi

Si deve essere rifugio, ma si deve anche avere ‘casa’ in altri cuori: perché bisogna mettersi nelle condizioni di potersi prendere cura delle persone che dipendono da noi, delle nostre relazioni primarie. Quelle di cui siamo responsabili, che chiedono di poter partecipare al nostro bene.

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Scuola di rugby, scuola di vita

La metafora del gioco del rugby, con quell’aria nobile e un po’ retrò, è un gran bello spunto per attivare delle vere e proprie trasformazioni generative, nella vita delle persone e delle organizzazioni.

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Gennaio e la ripresa lavorativa: i pericoli di un mese difficile, buio e freddo

La depressione sarà la malattia più diffusa nel mondo entro il 2020 per l’OMS. Solo un dato sui tanti: l’ultima statistica parla di 5 milioni di italiani che soffrono di depressione, mal di testa, attacchi di panico e problemi del sonno per il troppo lavoro. L’evoluzione della tecnologia non è stata direttamente proporzionale all’alleggerimento delle condizioni dei dipendenti, che si ritrovano a fare i conti con la flessibilità quando si parla dei loro doveri, ma sui loro diritti ci si irrigidisce un tantino di più: insomma, resta ancora tanta strada da fare. Basta allora pensare di trattare la depressione e i disturbi dell’umore ivi correlati come come problema individuale: rischiamo di insultare chi ne soffre, sottovalutandola e riportando frasi stereotipate pensando di aiutare chi abbiamo davanti (‘reagisci’, dipende solo da te’, ‘tutti abbiamo dei problemi’). E al tempo stesso smettiamola di fare dichiarazioni esagerate e fuori registro: ‘oggi sono depresso’, un’espressione ormai entrata nel gergo quotidiano, ma che tutto significa tranne che soffrire di un disturbo depressivo. L’umore oscilla, giornalmente, periodicamente: la vita porta a sco

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La terapia è una musica per camaleonti

“Nessuno sa mai come reagirà a ciò che sta per accadere, nessuno può prevedere quale sarà la sua reazione all’imprevisto, alla tempesta, a quel che ‘stravolgerà’ le sue abitudini. Nessuno sa mai se sarà all’altezza del viaggio che lo costringerà a misurarsi con la sofferenza. Ciascuno, in fondo, è davvero quel che è solo quando viene costretto a misurarsi con un viaggio, con un avvenimento che lo può travolgere.” (Federico Pace, ‘Controvento’)

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Il mal d’autunno. Ansia e depressione stagionali

Le persone che manifestano il Seasonal Affective Disorder (SAD), la depressione stagionale, rara tra le popolazioni mediterranee, più frequente nel Nord-Europa, si dimostrano particolarmente sensibili ai cambiamenti stagionali: il calo della temperatura, l’aumentare del buio, pioggia e nebbia condizionano inesorabilmente il loro stato psicofisico.

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Decluttering

In questi giorni pre-imbianchino mi sto arrampicando ovunque per togliere cose e liberare gli spazi. Faticosissimo. E, nel ritrovare un sacco di vecchi pezzi, a tratti un po’ malinconico. Poi mi arriva la parola di conforto di un’amica.

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Tempus fugit

‘Chiedo la forza del tirarsi indietro la forza d’ogni rinunciante, la forza d’ogni digiunante e vegliante la forza somma del non fare del non dire del non avere del non sapere. La forza del non, è quella che chiedo. Non non non: che parola splendida questo non.’ (M. Gualtieri)

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