Scuola di rugby, scuola di vita

La metafora del gioco del rugby, con quell’aria nobile e un po’ retrò, è un gran bello spunto per attivare delle vere e proprie trasformazioni generative, nella vita delle persone e delle organizzazioni.

Nel campo si impara fin da piccoli a mettersi in gioco, ad affrontare l’avversario senza avere troppa paura di esporsi: ci si butta con il corpo – e che corpo, dico io… – accettando anche le ammaccature del contatto, faccia e ginocchia per terra e kg di fango addosso, ma lo si affronta anche con la mente – e che mente, dico io… – per portare avanti la soluzione che conduce strategicamente alla meta.

Chi porta il pallone fa l’azione: tutti i giocatori sono essenziali allo stesso modo, sia che abbiano in mano la palla, sia che siano “solo” di supporto.

Nessuno è efficace se i compagni non fanno la loro parte: il risultato è collettivo.

In questo sport le regole si seguono perché si fa parte di una cultura più ampia, fondata su principi condivisi. Ruoli definiti e un occhio attento ai movimenti dell’altro. La leadership è sinonimo di efficienza, flessibilità (perché esiste un vantaggio comune!), capacità di sacrificio, pensiero prospettico e saper dare il buon esempio. Ma c’entrano anche un po’ i concetti di umiltà, fiducia e rispetto: per il compagno, per l’avversario, per l’arbitro. E il pubblico lo sa, eccome se lo sa. Nessun fischio, parecchi incitamenti, molti applausi (e al limite qualche manata sulle spalle ;-)).

Chi non vorrebbe far parte di una squadra motivata dagli stessi valori? Chi non vorrebbe portarsi nella vita – privata, professionale – le stesse regole, la stessa deontologia?

Perdiamo qualcosa ogni giorno, ma abbiamo imparato che bisogna andare avanti. E il rugby ci insegna ad accettarlo. Il “terzo tempo” è parte integrante della partita, in cui le due squadre si ritrovano, nonostante il risultato, orgogliose di essersi giocate il tutto per tutto. Perché in definitiva anche nella vita ci vuole il “terzo tempo”: il momento per capire che, pur se non ce l’abbiamo fatta, guaderemo oltre, affronteremo ancora facce, cose, persone, sfide, lacrime, fango. Più forti, più tonici. Con qualche cicatrice in più.
E poi c’è la squadra. Perché il rugby è cuore, generosità, lealtà. È un legame primordiale, istintivo, che spinge nella mischia. Portare avanti anche questo, uniti. Con le persone, ma che siano le nostre.