Sento, dunque sono

Giochiamo con Cartesio: “Ho sensazioni, dunque sono”. Perchè senza quelle, chiare ed accessibili, perdiamo il contatto con i nostri bisogni, la nostra collocazione comunitaria, la nostra relazione con gli altri e l'ambiente. Perdiamo, insomma, il nostro “fondamento nel mondo”. E allora abbiamo bisogno di costruirci intorno immagini vivide, perché le idee astratte hanno più forza se sono espresse con descrizioni dello spazio fisico. Per questo ogni tanto “ci sentiamo leggeri”, mentre altre volte “ci sentiamo a pezzi”. E per questo questo diciamo che “la mia vita è una lunga strada piena di ostacoli” o “il nostro rapporto è a un bivio” e molte altre metafore che evocano un percorso.

Qui non si tratta semplicemente di modi di dire, ma di modi di essere in quel particolarissimo rapporto dinamico tra il nostro corpo e il mondo. Senza quei confini che talora sembra che vogliamo imporci a tutti i costi. Pensateci, è proprio così: chissà quante volte la tristezza ci ha scaldato il petto, ci ha teso il diaframma e le spalle, ci ha chiuso la gola e riempito gli occhi di lacrime.

In fondo anche il dolore è un sintomo e va legittimato come tale. Interiormente, fisicamente.

Dobbiamo lasciare che l’emozione assuma un significato per la nostra esistenza e che guidi il nostro funzionamento: consentirci le lacrime, esprimere il mal-essere, trovare il conforto in chi ci sta vicino. Per andare oltre, per evolvere. E lasciare che i gesti e le parole che curano facciano il resto: ri-creare relazioni, ri-accendere speranze.