La relazione terapeutica

Ogni relazione terapeutica implica un momento di accudimento, cura, protezione da parte del professionista verso il paziente. Ma entrare in terapia non significa dover ricevere attenzioni, affetto, "amore" - nel senso più ampio del termine, ovviamente - dal terapeuta.
Temere quindi di non valere - o di non valere abbastanza - o di essere inadeguato, noioso, inutile; sentirsi banalmente uno tra i tanti pazienti nell’agenda del terapeuta può essere tutt'altro che terapeutico, anzi: riapre la voragine del buco relazionale della MANCANZA. Di amore, certo: quell'amore familiare, circolare, rotondo, sistemico.

Le richieste a volte eccessive di un paziente possono allora avere un po' questo sapore: "Ricollocami, dammi un ritorno di quanto valgo per te, ALMENO per te". Se il terapeuta dovesse (legittimamente!) sottrarsi a questa sollecitazione incongrua potrebbero insorgere movimenti ondivaghi nel paziente: ci ho provato / ho chiesto / mi sono sentito rifiutato / vado via / e se avessi esagerato / resto / quando ripartiamo.

Eppure sì, sì è sempre uno tra i tanti: ma questo garantisce che il terapeuta, imparziale e super partes, si impegni eticamente, deontologicamente e professionalmente, dedicandosi, studiando, confrontandosi con supervisioni, colleghi, tirocinanti e tutta la comunità terapeutica di riferimento; facendo insomma quanto necessario per fare le cose bene, al suo meglio possibile.