Il mal d’autunno. Ansia e depressione stagionali

Si sta come d'autunno...

L’autunno è la mia stagione preferita.

Alla fine riesco a starci bene anche quando sto così così.
E’ la stagione delle mie (rare) legittimazioni a poltrire davanti a un film. A infilare la matita a metà del capitolo e socchiudere libro e occhi.
E’ la stagione in cui mi viene voglia di fare una torta per scaldare bene bene la casa e sentire tutto quel profumino che gira.
E’ la stagione della transizione: per provare a mettersi nella condizione dell’albero. Lui lascia cadere le sue foglie, io vorrei solo capire cosa e come lasciar andare per arrivare più leggera al letargo del mio inverno. E ci sto lavorando eh, il che è già un buon segno.

E’ la stagione della cipolla, di una roba fatta a strati: strati di copertine nuove dell’Ikea sul divano e sul mio letto, strati di latte caldo col nesquick, strati di magliette a righe. E i leggings con gli stivali. E le calzette nei dansko.

E’ la stagione delle canottiere colorate che infilo sotto (alle magliette a righe), dei cardigans beige di cotone che abbottono stretti. (S)coperta, ma non del tutto.

Come mi sento io adesso. Una cipolla con i suoi bravi strati. Che poi alla fine non li tira mai fuori tutti. O magari sovverte l’ordine: e scappano via prima quelli più sotto. La ribellione della cipolla.

Si torna al quotidiano che apre all’inverno. Chi torna a scuola, chi al lavoro.
Tempo di formaggio, di bacche, di noci e di malli, di zucche e di castagne.

Solo forme rotonde e avvolgenti, tutto ciò che è ciclo di impegno e transumanza.

Un tempo che ha i colori del rosso, dell’arancione, del giallo.

Non sono in buona compagnia. Io che amo l’autunno e l’idea del nido-casa pieno di plaid dai colori caldi come le foglie sugli alberi, sono una voce fuori dal coro.

L’accorciamento delle giornate provoca complessivamente malumore al 17% degli italiani e ansia nel 15%. Ergo: ben in un italiano su 3 (32%).

Le persone che manifestano il Seasonal Affective Disorder (SAD), la depressione stagionale, rara tra le popolazioni mediterranee, più frequente nel Nord-Europa, si dimostrano particolarmente sensibili ai cambiamenti stagionali: il calo della temperatura, l’aumentare del buio, pioggia e nebbia condizionano inesorabilmente il loro stato psicofisico. La sintomatologia inizia a comparire durante l’autunno per raggiungere il massimo dell’intensità in inverno, risolvendosi parzialmente o completamente con il cambio dell’ora e l’arrivo della primavera.

E gran parte sta nel meccanismo dell’azione della luce sul cervello: seppur non ancora del tutto chiaro, non si hanno dubbi sul fatto che il tono dell’umore sia influenzato in maniera significativa dalla quantità di luce a cui ci si espone.

Naso all’aria aperta tutte le volte che si può, allora. E un buon riposo per contrastare il cortisolo, l’odioso ormone dello stress che ci stende. Poi (e qui lo dico soprattutto a me!): take-it-easy! Meno caffeina e gran pianificazione delle nostre giornate, ma non bulimica di cose-impegni-progetti-persone: solo focalizzando l’attenzione sulle sensazioni che ci rimanda il nostro corpo possiamo (... forse?!) rallentare e prendercela con un po’ più di calma.

 

Meno serotonina, più ansia.

Calano le occasionali sociali, ci si immerge nell’odiosa sindrome del back-to-school-blues e si ritorna alle sfide quotidiane: chi è già predisposto all’ansia, quando l’estate saluta dal finestrino, la luce diventa lattiginosa e l’abbronzatura si perde tra la doccia e l’accappatoio, rischia di cadere in un circolo vizioso.

Capita allora di farsi prendere dall’agitazione di stare male, fino ad esperire un vero e proprio attacco di panico. C’è chi interpreta le sensazioni corporee alterate dal cambiamento di stagione come una concreta prova che stia per accadere qualcosa di grave. E così mette in atto tutta una serie di dinamiche per cercare di evitare l’ansia e gli attacchi di panico: si chiude in casa, evita i posti affollati, controlla in continuazione le previsioni meteo e si concentra ossessivamente su qualsiasi percezione corporea.

E tutto ciò può già causare un’ansia anticipatoria, quella che io chiamo la paura della paura: ovvero la paura di avere un attacco di ansia, che spesso costituisce di per sé lo scatenarsi dell’ansia stessa. (Mai sentito parlare di conferma comportamentale?!)

Eppure... si può addirittura ambire a trovare un bel pezzo di gestione dell’ansia senza farsi fagocitare!

Il primo passo, su tutti: riconoscere che queste sensazioni non sono pericolose, quindi ridimensionare e non catastrofizzare. Un attacco di panico non può causare problemi o arresti cardiaci. I battiti del cuore ravvicinati e le palpitazioni possono spaventare, ma non sono pericolose. Un attacco di panico non fa soffocare e men che meno fa smettere di respirare. Il corpo reagisce: capita di sentire un peso sul petto e si ha la sensazione di non respirare bene. Ma non c’è niente di strano nei polmoni, nel cuore, nello stomaco. Il nostro cervello, benedetto lui, ha un meccanismo innato che ci farà respirare a forza se non arriva ossigeno sufficiente. La sopravvivenza, innanzitutto!

Quindi: trovare un bandolo della matassa. Nella narrazione di se’, ritagliandosi uno spazio terapeutico di approfondimento, di confronto, di ‘ripunteggiatura’. Nella relazione con il proprio partner, un figlio, un genitore, un amico, un collega, un vicino di casa. Perché in fondo siamo tutti qualcuno-per-qualcuno.

 

L’ansia dell’avere tutto-sotto-controllo.

Italiani sempre più a rischio ansia, con percentuali in aumento. A rilevarlo è l'Associazione Europea Disturbi da Attacchi di Panico che in un sondaggio on line, al quale hanno risposto oltre 700 soggetti tra i 19 e i 60 anni, ha voluto indagare quanto le persone sperimentino alcuni dei sintomi tipici dell'ansia. Dai risultati è emerso che il 79% di coloro che hanno risposto al sondaggio ha avuto, nell'ultimo mese, manifestazioni fisiche intense di ansia; il 73% si percepisce come una persona apprensiva, che si preoccupa di piccole cose/situazioni; il 68% dichiara di avere disagio a stare lontano da casa, mentre il 91% trova molto spesso difficoltà nel rilassarsi.

L’analogia che usa Erickson è quella di un uomo che vuole cambiare il corso di un fiume. Se lo contrasta e cerca di fermarlo, il fiume potrà facilmente superare o aggirare l’ostacolo, ma se l’uomo ne "accetta" la forza e la devia in una nuova direzione, la corrente del fiume finirà per scavarsi un nuovo letto.

Perché l’ansia scatta quando si sente di "non avere il controllo": in parte predisposizione genetica, esperienze vissute, turbolenze sociali. Un’escalation di pensieri negativi, addirittura catastrofici. Ma quale controllo? Su cosa poi?

Alt: fermarsi e fare la conta di quelle cose che dipendono da noi e quelle che esistono senza essere in nostro potere. Convogliare gli sforzi sulle prime ed economizzare sulle altre. L’ansia del mondo non può diventare la nostra.

In poche parole: se sbagli, non fermarti. Questa è l’opportunità (paradossale?) di avere un sintomo. Ascoltarlo, farne esperienza autentica. Da leggersi come lo sforzo che un sistema sta compiendo per massimizzare o minimizzare un particolare comportamento. Inutile allora forzare, costringersi a sradicarlo a tutti i costi: se ne presenterebbe un altro. Fare invece un passo indietro: lasciare alla nostra capacità di autoguarigione. E magari affidarsi a chi è un esperto in materia.

 

Singing in the rain: contrastare la depressione stagionale.

Ingialliscono le foglie e i colori della personalità impallidiscono: con la depressione stagionale si avverte una riduzione progressiva della performance generale, una sorta di rallentamento delle emozioni e della carica vitale. Ci si può sentire più poveri emotivamente, più vuoti spiritualmente: più scarni, più aridi.

Fermarsi. Pensare semplicemente che ci stanno momenti e passaggi emozionali alti e bassi; che la vita è complessa, sfaccettata, transitoria. Ma ci sono cose belle da fare e tempi evolutivi. Letture e passioni da far nascere e grazie alle quali stimolare la fantasia creativa. Contesti, personali e professionali, di energia che circola, di feed-back positivi, di relazioni piene di significato.

E la possibilità di fare un percorso per se’ che focalizzi (anche) sull’umore e le cause più profonde che lo destabilizzano. Piove, ma si può imparare ad aprire l’ombrello.