Bortellina e novelle primule
Oggi, trattoria alla buona sulle colline per un tagliere veloce di pane e salame. Al tavolo accanto, un padre che ad al…
Leggi tuttoMi capita spesso, nella prima telefonata di contatto, sentire un genitore che dice: “Mio figlio è un po’ strano”. Oppure, viceversa, che lamenti il fatto che le insegnanti lo definiscano così, ma lui non ci veda nulla che non vada: “È solo un periodo”, si dice, però, precauzionalmente, vuole avvalersi di uno “sguardo esterno”.
A volte i genitori portano il figlio in terapia perché c’è stato un evento straordinario, per essere certi che il bambino esprima interamente tutte quelle emozioni pregnanti che sono legate all’evento stesso, o anche solo un’esperienza che lo ha profondamente spaventato.
Altre volte ascolto genitori che riferiscono di non essere direttamente toccati dal comportamento del figlio, ma il senso di disagio, l’ansia e la preoccupazione li muovono a prendere dei provvedimenti.
Capitano genitori resistenti alla terapia o che esitano a cercare aiuto perchè pensano ad un percorso che comporta tempi molto lunghi ed invasivi per il bambino, nello svolgimento dei compiti o delle attività extra scolastiche. Ovviamente ci sono casi che richiedono trattamenti a lungo termine, ma in genere molti problemi si possono trattare nel giro di uno o pochi mesi, magari dapprima con una seduta alla settimana e poi dilatando i tempi tra l’una e l’altra.
In genere vedo l’uno o entrambi i genitori in una seduta preliminare per farmi spiegare i motivi dell’invio ed il contesto di riferimento e solo successivamente incontro il minore da solo: capita sovente che, soprattutto in presenza delle figure genitoriali, il bambino non parli volentieri o non esprima spontaneamente la sua opinione. Fin dalla prima seduta si instaura un percorso relazionale di alleanza, per permettersi di fidarsi ed af-fidarsi a me, con momenti aperti di confronto, ma soprattutto ludici, finalizzati a stemperare l’ansia, la preoccupazione del bambino, la paura per quello che accadrà nella stanza.
Attraverso l’uso del disegno libero, ritagli di giornale, pupazzi, giochi e testistica propedeutica osservo e ascolto, instaurando un contatto visivo, trattandolo con rispetto e responsabilità, tentando di coinvolgerlo circa il percorso e facendo in modo che non si senta solo come un pacco portato per chissà quale motivo, ma chiedendo la sua opinione e rispettando il suo punto di vista.
E’ improbabile che un bambino venga alla seduta annunciando: "Oggi voglio lavorare su questo!”. A volte viene con un’idea precisa degli strumenti e dei colori che intende usare, dei giocattoli con cui giocare, magari li porta con se’ addirittura da casa, altre volte vuole raccontare qualcosa che gli è accaduto, condividere quel che ha visto in televisione o semplicemente ciò che gli piace fare.
In ogni caso è sempre un momento di incontro intenso e "movimentato", occhi e pancia, testa e cuore. I suoi, ma anche i miei.
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