2017: tour del Perù

Parto in un caldo agosto (là sara inverno) per un paese che mi ha sempre incredibilmente affascinato, il terzo per estensione del Sud-America dopo il Brasile e l’Argentina.

Un gruppo di sconosciuti con cui dividerò questa quindicina di giorni e zaino in spalla: visiteremo tutti i siti imperdibili per chi vede il Perù per la prima volta; troverò una grande varietà di paesaggi, dalle aree desertiche e le oasi delle regioni costiere, alle vette della regione andina.

Nota: sono veramente pochi i paesi in cui non ho mai sentito la mancanza della cucina italiana (pizzaaaaaaa! spaghettiiiii!) e tra questi metto in pole position il Perù. In Perù si mangia bene e se la mia opinione non è sufficiente, l’OEA (Organización de los Estados Americanos) ha classificato la gastronomia peruviana come Patrimonio Cultural de las Américas, cui si aggiunge la candidatura come Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità dell’Unesco (in lizza per il 2021). Intanto la quinoa è buonissima, condita in mille modi diversi, ho imparato a farla anche a casa, lavandola prima ben bene sotto l'acqua corrente. E poi ogni piatto era spesso accompagnato da riso o patate, anche semplicemente lesse, che personalmente adoooro! 

Il ceviche, simbolo dell’identità nazionale, a base di pesce (o crostacei) a pezzi, marinato con succo di lime, cipolla, aji e sale e accompagnato da un tubero color carota che ricorda vagamente la patata dolce, vista la mia nota porta sbarrata sul pesce l'ho assolutamente mollato. Ma pare fosse ottimo (o perlomeno così mi dicevano). Stessa storia per il cuy, tra i piatti della cucina peruviana tipici della sierra, tra la zona di Arequipa e di Cuzco. Dicono (loro) che sia un porcellino d’India, ma dalla forma a me è sembrato un bel rattone a tutti gli effetti. Ergo non ha toccato il mio piatto manco per sbaglio.

Il lomo saltado, pur se non amo particolarmente la carne, così preparato e ben condito con manzo a pezzi, cipolla, pomodori e patate fritte, aromatizzato con il coriandolo era squisito, come sempre accompagnato dall'immancabile riso bianco.

La pachamanca, che viene dalla parola quechua “pacha”, che significa terra, e “manka” che significa pentola, ovvero marmitta, è proprio da provare: un tipo di cucina tradizionale che ho assaggiato in famiglia, sulle iole del Titicaca. Consiste nel cuocere gli alimenti su pietre incadescenti appoggiate a terra. In questo modo si usa preparare la carne (maiale, mucca, etc.) accompagnata da papas, camote, mais e yucca, cucinate tutte insieme. Deliziosa!

Poi le papas a volontà: oltre a eccellere in varietà, le patate peruviane sono speciali per qualità! Le papas a la huancaina - che si trovano facilmente in tutto il paese - sono il piacere dei sensi. Le protagoniste sono ancora una volta le papas  lessate, ricoperte con una crema a base di formaggio fresco, aji amarillo e servite con lattuga, olive nere e spesso un uovo sodo. Ho detto tutto.

E come digerire cotanta robbba? Con il pisco sour! Si tratta di un cocktail a base di pisco, distillato che ricorda vagamente la grappa, di cui peruviani e cileni rivendicano la paternità, con l’aggiunta di lime verde, sciroppo di zucchero, bianco d’uovo e angostura. Una bomba!

Il mio tour peruviano.

Atterriamo a Lima, la capitale, qui le tappe obbligate perlomeno sono:

. il mercato alimentare

. il Monastero di San Francesco

. la Plaza de Armassulla, dove si affacciano la Cattedrale barocca e il Palazzo del Governo. 

Qui ritiriamo un po' di banconote locali che servono per tutto il viaggio, quando non si potrà pagare con carta. Giriamo in bus il quartiere coloniale di Barranco e l’elegante di Miraflores, e proseguiamo verso sud, in direzione della Riserva Naturale di Paracas.

Da qui parte l'escursione in barca alle Islas Ballestas, soprannominate le 'Galapagos Peruviane', un minuscolo arcipelago composto da isolotti sui cui vivono un gran numero di specie marine: pellicani, cormorani e una colonia di leoni marini. Emozionante da morire.E anche piuttosto freddino, cielo grigio e nuvoloni umidi.

Sosta imperdibile a Huacacina, una area desertica composta da altissime dune di soffice sabbia, un divertentissimo giro in Dune Buggy, che non avevo mai provato (non mi arrischio invece al sandboarding con le tavole da surf, ma molti hanno sperimentato l'ebbrezza!). Altra temperatura, maglietta e felpina leggera! 

A circa 150 km da Paracas si trova quella gran meraviglia di Nazca, conosciuta per queste spettacolari ed enigmatiche linee incise nel deserto (vere? fakes? chissà...) su un'area di circa 500 km quadri, che apprezziamo in elicottero con gran gridolini di fifa e adrenalina (io ho annesso un bel vomitino finale all’arrivo, passato con una corroborante cocacola, dieci minuti sdraiata su una panchina e tanti saluti). 

L’indomani tappa imperdibile nella città coloniale di Arequipa (denominata anche il pueblo blanco), dove si trova l’enorme Convento di Santa Catalina fondato nel 1580, una vera piccola città con un dedalo di vicoli, chiostri, chiese e fontane e il Museo Santuarios Andinos che custodisce il corpo mummificato di una ragazzina ribattezzata Juanita, poretta, che fu sacrificata dagli Inca 500 anni fa. Bimbi peruviani in gita scolastica e cento foto a quelle faccine sorridenti che mi porterò nel cuore.

Da Arequipa, attraversando il Passo di Patapampa (4900 m), si raggiunge Chivay per fare un bagno nelle sue calde sorgenti termali. Unico neo, nonostante prendessi un diauretico (consiglio del mio medico prima di partire e di altri compagni viaggiatori prima di me) e masticassi in continuazione, come tutti, piccole palline di mate de coca per la pressione... beh, nada, in un attimo mi si annebbia la vista e svengo. Bum, così, lunga distesa a terra. Poco male: mi ripiglio in fretta, spavento a parte, mi resta un leggero bozzo in fronte e un vago mal di testa che mi accompagnerà per la giornata. Poi basta, puf, come se avessi dato tutto quel che avevo, il resto dei giorni per me scorre liscissimo (freddo fottuto e sofferto a parte - soprattutto in alcune strutture che ci ospitavano per la notte, ahimè prive di riscaldamento). Altri miei compagni di viaggio non son stati così fortunati e si son trascinati un cerchio alla testa e una leggera diarrea per l’intera vacanza.

La cittadina di Chivay si trova al centro del Canyon del Colca, con un po' di fortuna si possono avvistare i condor che si elevano in volo, uno spettacolo veramente emozionante. 

Più a sud, eccoci arrivati a Puno, dove c'è il lago navigabile più alto del mondo, il mitico Titicaca: partiamo in barca per esplorare le isole circostanti, ben vestiti a cipolla con abbigliamento tecnico, al solito. 

Prima sosta alle tipiche isole galleggianti degli Uros fatte di totora (canna): gli abitanti vendono chincaglierie colorate e i bambini ci corrono incontro con slanci che hanno un che di tenero e veramente magico. Quindi ci fermiamo Taquile, nota per i pregiati tessuti rigorosamente fatti a mano: la sua arte tessile nel 2005 è stata inserita tra i 'Capolavori del Patrimonio Orale e Immateriale dell’Umanità' dall’UNESCO. Acquisto estasiata un copricuscino rosso e ricamato di mille colori che tutt’oggi alberga fiero sul mio divano di casa. Foto a perdifiato alle donne con le trecce lunghe fini al sedere e a questi mocciosi con il naso che cola e le bocche sdentate, che non vorresti davvero lasciare mai.

Approdiamo infine all’isola di Amantani con le sue due cime, Pacha Mama (Madre Terra) e Pacha Tata (Padre Terra), sulle cui vette si trovano antiche rovine. Un gruppo risale la Pacha Mama fino in cima, me inclusa. Sono quelle cose che ti riempiono di vita, ecco. Sospiri e sorridi e sei grata.

Ci dividiamo a gruppi di due e dormiamo presso le famiglie del luogo, condividendo con loro la cena. La camera è gelida e il bagno è fuori nel cortile, prego di non doverne fare uso visto il freddo e il buio pesto. Fortunatamente va tutto bene e riesco a dormire (con guanti e cuffia!) almeno un paio d’ore!

Tuttavia la stanchezza accumulata nel viaggio e soprattutto la notte prima mi fa decidere di saltare la gita a Sillustani, un complesso funerario sulle rive del Lago di Umayo. Preferisco rimanere in albergo che ha la lavanderia e fare un bucato veloce prima di ripartire e intanto riposare un po’.

Da Puno risaliamo quindi verso nord fino alla bellissima Cuzco, l’ombelicooo del mondooo, l'antica capitale del regno Inca, dove trascorreremo alcuni giorni per la visita della città e dei dintorni. 

Stiamo entrando letteralmente nel cuore della vacanza. C'è la spettacolare Plaza de Armas con i suoi due gioielli, la Cattedrale del XVII secolo e la Iglesia de la Compañía de Jesús costruita dai Gesuiti nel XVIII secolo, proseguiamo poi con una passeggiatona per il quartiere di San Blas, oggi il più caratteristico e alla moda di Cuzco, con le sue stradine lastricate, le casette bianche e i negozietti di oggetti artigianali. Cioccolata di tutti i gusti e gli aromi, calze e berretti di lana di alpaca, morbidi e caldi, faccio gran scorta!

Nei dintorni di Cuzco c'è molto da vedere. Si trovano le rovine della fortezza di Sacsayhuman, costruita con pietre dalle dimensioni ciclopiche, il santuario di Qenko, la fortezza rossa di Puca Pucara e il sito della fonte sacra di Tambo Machay. Meritano una sosta Chinceros, il paese costruito sopra rovine inca e Pisac, dove si trova uno dei siti archeologici tra i meglio conservati di tutto il Perù e un famoso mercato, noto soprattutto per le patate di oggi foggia, dimensione e colore. Ma guai a fotografare le donne che le vendono.

L’indomani tappa ai terrazzamenti circolari di Moray, centro inca di sperimentazione agricola e e alle bianchissime saline di Maras, dove acquisto sale aromatizzato (ottimo per il cibo e per fantastici pediluvi e bagni drenanti!) utilizzate sin dall’epoca antica e ancora oggi sfruttate. 

Proseguendo lungo la valle sacra del fiume Urubamba si incontra Ollantaytambo, sovrastato da uno spettacolare tempio costruito sulle pareti di una montagna. Da Ollantaytambo parte il treno per Aguas Calientes: ci saliamo quasi quasi un po' agitati (io perlomeno!), sappiamo che faremo base lì per la visita alle rovine di Machu Picchu il giorno successivo. Incredibile ma vero: in serata riusciamo a trovare una pizzeria gestita da italiani, ci rifocilliamo di carboidrati e andiamo a nanna presto, aspettando emozionati e curiosi la sorpresa che ci rivelerà la Natura l’indomani.

Che dire: per me resterà per sempre uno dei posti più affascinanti del mondo, un luogo mistico, uno spettacolo nascosto tra le montagne, mai raggiunto dagli spagnoli e sconosciuto per ben quattro secoli, fino al 1911, quando fu scoperto dal buon Bingham (nota: ti possono mettere il timbrino sul passaporto all’ingresso, una cosa carina, se possibile da non perdere!).

Lama e alpaca al pascolo, come fossero mucche. Piove, mannaggia. K-Way, poncho antipioggia e coprizaino e si parte comunque. Con coraggio e forza di volontà saliamo sulla Montagna Pichu per godere dello spettacolo del sito dall’alto. Bagnati dalla pioggia, sudati dal materiale impermeabile con cui ci siamo dovuti coprire... ma le urla, le risate e le foto di gruppo sulla cima sono valse da sole tutta la faticaccia. Davvero, la bellezza di questo luogo è indescrivibile. Una bellezza che è necessario guadagnarsi, questo è certo, perché il trekking che porta alla cima e alla vista non è per niente semplice: quei gradini, bagnati di pioggia poi, son così scivolosi da doverci prestare molta, moltissima attenzione.

E non è finita qua. L’ultima emozione, il grande colpo di coda finale, scenico e incredibilmente unico al mondo, ce lo daranno le Rainbow Maountains. Non poteva esserci finale migliore. Posso assicurarvi che è stata una delle esperienze più entusiasmanti che io abbia fatto nei miei viaggi e che lascia attoniti per la spettacolo che si apre in cima, innanzi agli occhi.

Io, memore anche dello svenimento che l’alta quota mi aveva provocato, non ho voluto forzare ulteriormente il mio corpo, anche se mi sentivo piuttosto bene, anche perché erano circa 20 giorni che vivevo in altitudine e credo che il tempo abbia consentito al mio corpo un acclimatamento adatto ad affrontare lo sforzo; tuttavia, giusto per scongiurare qualunque rischio, ho usato per metà tragitto un asinello che viene messo a disposizione dai locali, per una cifra assolutamente modica.

Il trekking si fa prestissimo, alle sei e mezzo nella hall dell’hotel e alle otto del mattino in partenza. Già solo punto di start si trova a circa 4200 metri di altitudine. Ed ecco svelata la vera difficoltà: non sono tanto i 1000 metri di dislivello, anche perché il percorso alterna salite a strada pianeggiante, ma è il fatto che tutto il trekking si svolga tra i 4000 e i 5000 metri di altitudine, fattore che ovviamente non facilita la respirazione. Eppure... quei colori che sembrano stratificati ad arte, come se un mago avesse usato un pennello e quel silenzio assordante di chi sta davanti ad una delle meraviglie del mondo... beh, riempie completamente occhi e cuore (ndr. vedi foto).

Rientrati a Cuzco ci attende il volo per Lima e quindi per l’Italia.

Colori, sapori e profumi addosso. Proprio per sempre.