Il diario di Francesca

Ciao Silvia, eccomi finalmente!
Scrivo a braccio, sarò interrotta almeno un milione di volte... non trovo gli occhiali per cui ci saranno innumerevoli errori ortografici... ma più di così non riesco a fare.
Intanto manchi, manchi tanto anche se solo per un sorriso veloce in corridoio.... senza di te, senza sapere che ci sei e che per un attimo, anche solo un attimo in cui si prova un gran sconforto, senso di amarezza, si può scendere da te, scambiare due chiacchiere... fare una risata... sei rassicurante, saperti lì è rassicurante, per cui manchi!
L’idea del diario è una gran figata, perché è importante in un momento come quello che stiamo vivendo fissare i pensieri e le sensazioni e poi magari un domani tornare a rileggerli; e poi provare a scrivere le sensazioni, i sentimenti ci costringe ad un importante esercizio di riflessione, utilissimo, che con il tempo e l’età ho perso... era una cosa che facevo tantissimo da adolescente, da studentessa.... ora, presa dal vortice della quotidianità l’ho perso ed invece sarà importante recuperare questa abitudine.... mi prenderò un bel taccuino su cui trascrivere i miei pensieri...! Da ultimo è il modo per recuperare un po’ me stessa, dedicare un po’ di tempo al mio io... sino ad ora intendevo il prendermi cura di me stessa andando una volta ogni due mesi dal parrucchiere o dall’estetista, regalarmi un massaggio, ma quello è prendersi cura sì di me, ma della cura della mia persona esteriore, che aiuta un po’ anche a farti sentire meglio a rilassarti, ma non è un prendersi cura della propria anima; con questo diario io mi prendo cura del mio io più profondo, della mia anima, della mia coscienza della mia persona a 360 gradi, perché se la tua anima sta bene stai meglio anche fisicamente, anche se non hai la piega fatta dal parrucchiere. E poi nel diario trovi il coraggio di scrivere cose che a volte non riesci ad esprimere davanti ad una persona.
Ed ora veniamo al nocciolo.... cosa ho provato in questi due mesi? Inizialmente per i primi 20 gg mi è sembrato di vivere in una bolla, trascinata dagli eventi, in una situazione quasi irreale. Poi ho realizzato che questa situazione emergenziale sarebbe diventata la nostra quotidianità e quindi ho dovuto iniziare a fare i conti con i problemi reali le ricadute sulla vita di tutti i giorni.
Ho tre figli di 17, 15 e 5 anni.... ho fatto richiesta di Smart working ben consapevole che per una mamma e moglie di una famiglia così numerosa non è facile organizzarsi da casa, preferirei mille volte andare in ufficio, ma in condizioni normali, con il piccolo alla scuola materna.
Ho una mamma invalida al 100%, completamente non autosufficiente che grazie a dio, con grandi sacrifici anche economici, abbiamo deciso di assistere in casa.
Nella mia situazione lo Smart working mi avrebbe concesso di gestire i miei figli con serenità e, non andando al lavoro, di potermi occupare in tranquillità di mia madre senza l’ansia di poterla contagiare; perché nella mia azienda ci sono stati casi positivi cui non è stato fatto il tampone di diagnosi, ma quello di guarigione, e a quest’ultimo dopo 20 gg a casa sono risultati positivi, da ultimo un mio collega.
Quindi al caos della quotidianità incomincia a salirti un po’ di panico; mi viene la dissenteria e passo una notte in bianco, oddio è uno dei sintomi per cui ci sono l’ho beccata... ed invece è una colite, una delle mie soliti coliti da accumulo di stress che era tanto che non mi veniva...
Tiro avanti così per più di un mese, fin quando a fine marzo crollo, sono stata ininterrottamente al lavoro anche di sabato e di domenica, ho accumulato quantità enormi di panni da lavare e stirare perché anche se i ragazzi non uscivano li costringevo a vestirsi per partecipare alle lezioni in streaming come se fossero in classe. Discuto con mio marito che trova inconcepibile che non mi autorizzano allo Smart working, mi sento in colpa con i miei figli che di giorno assistono alle lezioni palleggiandosi il piccolo, a cui ho dovuto dire: ‘se quando non c’è la mamma ti scappa la cacca, vai in bagno senza disturbare i tuoi fratelli e non pulirti il sedere, te lo puliranno mamma o papà quando rientrano dal lavoro’... e lui ovviamente ha puntualmente disobbedito, chiamando suo fratello perché giustamente mi ha detto che ‘se si sta tanto tempo senza pulirsi il sedere poi ti brucia’.
Allo stremo, il 4/4 è stato il mio ultimo giorno di lavoro poi mi sono presa tre settimane, la prima di congedo familiare retribuito al 50%, le altre due per 104 per assistere a mia madre. Sono stata dal 5/4 al 13/4 isolata in casa e poi tranquilla, perché senza sintomi mi sono trasferita con il piccolo a casa dai miei.
Ma non ero in ferie, ho accudito mia madre ed ho lasciato il mio nucleo famigliare, d’altronde non avevo alternative: cosa potevo fare?
La cosa pazzesca è che mi sentivo in colpa con le colleghe che non hanno figli, non hanno mamma invalida al 100% e dovevano andare a lavorare... certo, mi sentivo in difetto come se fossi sporca, come se avessi approfittato di una situazione come il peggior dipendente pubblico assenteista! Alla fine delle tre settimane sono rientrata al lavoro, il risultato qual è? Mi colpevolizzo con i miei figli grandi perché devono accudire il piccolo, abbiamo fatto una programmazione di presenze tra me e mio marito (che fortunatamente ha sempre lavorato) per sgravarli se non altro quando hanno verifiche ed interrogazioni e non possono accudirlo. Mi sento in colpa con il piccolo che viene letteralmente piazzato tutte le mattine davanti alla tv o al tablet e non ha le mie attenzioni, le attenzioni e le cure che dovrebbe avere un bambino di 5 anni, che da due mesi è segregato in casa e che ha perso ogni contatto con la sua quotidiana realtà, fatta di relazioni, di giochi all’aperto, di amicizie, di esperienze, di vita. Mi sento una merda perché rientro al lavoro e sento che sotto sotto sono considerata ‘inadeguata‘ perché è da più di un mese che sono assente, mi viene quasi da piangere, ma prendo forza e spiego che non sono stata assente un mese, ma tre settimane, che sono stata obbligata a prendere i permessi perché non mi è stata riconosciuta alternativa, e che la mia puntualizzazione non è per fare polemica, ma per difendere la mia dignità, la mia coscienza e la mia professionalità di donna e di lavoratrice improntata ai valori civili e al rispetto degli altri. Quindi allo sconforto, all’amarezza subentra la domanda: perché manca una solidarietà femminile?
Sono una donna che usa i pochi neuroni che ha, che mette l’anima nel lavoro per una sorta di dignità che mi hanno insegnato i miei genitori, che riconosce i propri limiti, con un grande spirito di adattamento e con una discreta capacità nel sapersi rapportare con le persone. Mi sento come se mi crollasse il pavimento sotto i piedi....
Fine della prima puntata, mi devo interrompere qui, mi sono già dedicata troppo tempo, oltre il massimo che mi è consentito.
Sai cosa mi spinge a non mollare? La stima professionale che quotidianamente i colleghi con cui lavoro non mancano di manifestare nei miei confronti, e poi un po’ di sana caparbietà, so di essere nel giusto, perché mollare?
Un abbraccio!
E grazie, grazie di cuore.
Francesca 

Ps: Mi sono dimenticata un pezzetto, una considerazione che se non la scrivo oggi poi me la dimentico... La rabbia prende il sopravvento perché questa situazione la percepisco come un’occasione persa, perché (e qui parlo da dipendente pubblico!) era l’occasione per riflettere sulle nostre modalità di lavoro e cercare di capire dove potevano semplificare e migliorarci per sburocratizzarci ed invece ci siamo aggrovigliati su noi stessi e non solo abbiamo perso un’occasione, ma abbiamo peggiorato, perdendo lucidità abbiamo creato burocrazia che alimenta burocrazia. E allora quella spinta di entusiasmo che nasce e che deve nascere dopo queste tragedie, che ti dà la forza per riemergere al lavoro, si assopisce travolta dalla disorganizzazione, dalle scelte insensate che sei costretta a subire perché pur essendo testa pensante non sei ascoltata. Ma sai da dove nascono le miei idee le mie spinte per cercare di migliorare qualcosa? Dall’ascolto dei cittadini che sono sommersi dall’inettitudine della amministrazione e ascoltandoli, cerchi di capire, ci ragioni e trovi la strada giusta... ma no, in realtà oscillo tra due sentimenti contrapposti, da un lato mi dico ‘non mollare!’ e dall’altro mi viene da alzare bandiera bianca, quale dei due prevarrà? Un abbraccio (hai creato un mostro, adesso ogni attimo ti scrivo !)