Il capo insopportabile, la lavatrice perde acqua, si è scaricata la batteria dell’auto e vi siete scordati di comprare l’unica cosa per cui eravate entrati in quel benedetto  supermercato. Siete stanchi, nervosi, andate di fretta: non mettetevi a discutere con i vostri figli. Davvero: lasciate perdere.
Fatevi solo un esame di coscienza su quando all’interno della giornata vi sentite accettanti (o meno) rispetto ai comportamenti dei vostri pargoli.
[Ed è normalissimo eh, sia chiaro: siamo umani, adulti bombardati quotidianamente da mille stimoli, con tante identità oltreché quella genitoriale: a nostra volta figli, e poi mogli, mariti, zii, colleghi, amici. Un bel casino.]
Si potrebbero allora rimandare le discussioni ai momenti in cui siete più ‘comodi’ per raccoglierle - e per farle raccogliere.
Perché siete voi i ‘grandi’, i responsabili della relazione d’aiuto: si deve venire a creare un rapporto in cui cercate di promuovere nel piccolo uomo uno sviluppo ed un funzionamento ottimali e, una cosetta così eh, figurarsi, la capacità di affrontare la vita. Già.
Prima di tutto: si deve fidare di voi e deve sentirsi al sicuro. Deve sentire la vostra empatia e la vostra coerenza, nessuna ambiguità comunicativa: ha bisogno di sapere con chiarezza le cose che vi faranno arrabbiare e con altrettanta certezza quando sarà elogiato perché ha fatto qualcosa di buono.
E al tempo stesso deve sentirsi sufficientemente forte come personcina, tanto da restare distinto e indipendente dall’adulto di riferimento.
Evitate, per carità, laddove possibile, giudizi, critiche, condanne, ridicolizzazioni, inquisizioni. E badate che non vi sto dicendo che non dovete chiedere, anzi! Il problema che vi porta può essere analizzato con lui, lo si può interrogare in merito (con calma), si può volerne capire di più: anche per consigliarlo, per trovare insieme una soluzione, a patto che rispetti il suo sentimento. Il suo, non il vostro. Ecco, una cosa indispensabile: dovrete imparare a decodificare i sentimenti e le emozioni che il vostro piccolo sta vivendo sulla sua pelle.
Ad esempio: la richiesta di essere tenuti per mano mentre si entra a scuola potrebbe non essere sminuita con:
‘Lo dici solo per avere delle coccole!’
oppure:
‘Ormai sei grande, gli altri bambini non fanno tutte queste storie!’
Ma gli si può chiedere se ha timore di qualcosa, perché l’emozione predominante che sta dietro ad una domanda di questo tipo sembrerebbe proprio essere quella della paura.
Non esagerate, non ridimensionate, non anticipate: ascoltate semplicemente che vi dice e poi ‘guardate’ oltre il verbale (che cosa sta cercando di dirvi in realtà?).
Non spingetelo verso la soluzione ‘giusta’, tante volte non c’è una direzione giusta in assoluto (magari ci fosse, non saremmo qui a parlarne!), potrebbe essere quella giusta per voi, ma non rispettosa per lui - per il suo, di sentire.
Al last, but not least: cercate di non identificare il bambino con una caratteristica, ma attribuirla sempre ad un comportamento.
Mi spiego con un altro esempio:
‘Mio figlio è disordinato!’ (Sfera dell’essere)
È diverso da:
‘Mio figlio lascia sempre i vestiti per terra e i libri sparsi sulla scrivania!’ (Sfera del fare) Così non si andrà ad intaccare la sua identità, ma un suo specifico modo di agire che vi fa arrabbiare.