2023: tour autunnale del Giappone

La bellezza di un viaggio per me è emozione!

Parte dall’individuare una meta, iniziare a pensarla, accantonare da parte un mucchio cose che mi potranno servire, prima ancora di fare lo zaino. 

Parte da quello che scatena in me nei giorni precedenti, un ancoraggio, un pensiero felice.

Parte dalla curiosità di conoscere da vicino una nuova cultura, usi, costumi, tradizioni - e devo dire che tutto questo è stato ancora più intenso per la mia prima esperienza in Oriente, una magia che non potevo prevedere! Non così, almeno. Che poi si sa: già l’anticipazione della prospettiva di un viaggio aumenta i livelli di serotonina e la soddisfazione personale. Mollare le zavorre del quotidiano, altro che gli ormeggi!

Atterrata ad Haneda, ripartita da Narita, due aereoporti che già di per se’ sono una città nella città.

Il Giappone è un Paese stupendo, ma veramente complesso - e le cose belle hanno bisogno di tempo per essere capite. Inverosimile: così antico, così moderno, così perfettamente bilanciato. Una mentalità completamente diversa dalla nostra, il che può valere per ogni luogo nuovo che si visita, ma davvero: qui in modo particolare. E non lo dico banalmente: prendete la nostra forma mentis e schekeratela abbondantemente per 15 minuti - e anche così non credo sia sufficiente! Serve proprio fare un salto culturale - e non ci si riesce neppure del tutto. Sei uno straniero in un Paese straniero - e nonostante la cortesia che imperversa, vi assicuro che non ve lo dimenticherete neppure per un attimo. Tutt’intorno grattacieli alti e poi spazi piccoli e risicati, parchi immensi e straordinariamente ordinati, tante, tantissime biciclette, macchinette che sembrano scatoline, file di manager in giacca e cravatta (che un po’ di patriarcato qui c’è, inutile negarlo!) con in mano la scatola del bento homemade o preparato da una delle tante aziende che riforniscono i konbini e dietro l’angolo pazzi vestiti multicolor insieme a donne col kimono tramandato da generazioni.

I giapponesi sono magici e strani, silenziosi, gentili, accondiscendenti, chiusi, poco inclini all’apertura o alla curiosità per l’altro, seppur sempre incredibilmente gentili. Dei muri di gomma sui quali le emozioni passano apparentemente senza lasciare traccia, probabilmente scambiate per vulnerabilità, scarsità di perfomance. Questo non mi è piaciuto moltissimo, mi teneva costantemente a distanza, il che con le persone mi capita raramente. Perennemente coperti dietro le loro immancabili mascherine, che un po’ li riscaldano nella stagione fredda, un po’ coprono il viso delle donne quando sono stuccate, ma soprattutto prevengono dal contagio dalle malattie, per rispetto loro e degli altri, non solo quando l’influenza imperversa.

Sono piccini, io non mi sono mai sentita così a mio agio! Si muovono per le città con precisione marziale, robottini efficienti che seguono pedissequamente le frecce sulle scale, sulle strade, sui marciapiedi: per sapere la direzione, per andare veloci, per non intralciarsi. La cultura giapponese insegna il rispetto: si aspetta ordinatamente in fila per salire su bus e treni, sui mezzi i cellulari sono tenuti silenziosi e nessuno parla ad alta voce per non disturbare gli altri.

Utilizzano le parole come giochi, fanno un incredibile affidamento sui nomi: un sostantivo ricostruisce il senso di un luogo e richiama la buona o la cattiva sorte a seconda di come viene scritto o pronunciato. Io ci ho anche provato eh, ma non ci salto proprio fuori. Niente, non me ne ricordo uno. Per le lingue straniere ho sempre avuto una predisposizione, non questa.

Curano tantissimo le cose. Persone zelanti che costruiscono a creare una società prospera e giusta. Basti vedere l’ultimo meraviglioso film di Wim Wenders, Perfect Days! Le piantine, i fiori, gli alberi, il saluto al tempio, l’alimentazione, il corpo, tutte le zone pubbliche, a partire dai bagni, i monumenti artistici. E poi gli sguardi, i gesti, i movimenti: usano poche parole (poche per noi, almeno!), ma si narrano moltissimo con il non verbale.

Preservano e proteggono le loro case, si incontrano spesso in zone neutre, caffè e ristoranti o più in generale qualunque locale esterno: in parte perché gli appartamenti sono piccoli e un po’ angusti, come praticamente tutte le stanze d’albergo in cui sono stata, nonostante la pulizia quasi sempre impeccabile, in parte perché si vuole risparmiare il fastidio di aprire alla presenza disordinata degli altri quello che è nido, cuccia, tana. Una delle tante differenze con noi italiani, che siamo soliti spalancare le porte di casa per accogliere con calore i nostri ospiti.

Non ci sono pattumiere, preparatevi. In ogni caso sono molto poche: tenere a tiro un sacchettino nello zaino, da svuotare quando è possibile. E tutto è lindo, perfetto: nessuno si sogna di sporcare o gettare una cosa a terra.

Il Giappone sono le carpe rosse e grigie nei laghetti: una leggenda vuole che quelle che risalissero le correnti si trasformassero poi in draghi. Un po’ una metafora della vita: nuotiamo tutti in un fiume tumultuoso e andando controcorrente siamo in grado di superare le avversità - o quantomeno impariamo a guidarle senza farci troppo travolgere dalle emozioni. Le emozioni già, queste sconosciute. Trovane una in un giapponese, se sei capace!

Il Giappone sono i mezzi di trasporto pazzeschi, lucidi e scintillanti che manco il salotto di casa vostra, seppur ospitino fino a 6 milioni di persone al giorno su tutta la linea tranviaria: le rotaie della linea Yamanote e gli Shinkansen, i treni-proiettile che collegano l’intero Paese con movimenti esatti, precisi, talmente silenziosi e veloci che quando scendi hai un po’ di mal di mare, almeno, è capitato alla sottoscritta dopo un viaggio in treno di tre ore. Io li ho percepiti un po’ come il simbolo della nazione: organizzati per servire la folla, la velocità, la quantità, l’efficienza. 

Il Giappone sono i kimono stretti stretti e annodati, che te li raccomando: i corsetti regency di Madame Delacroix mi farebbero un baffo, ora. Perché il loro kimono in fondo è un po’ il simbolo dell’identità nazionale e sussurra… parla! Con i suoi fruscii, i colori, le maniche, il fiocco. Usa un linguaggio antico, simbolico, parla di storia e di uno spazio che oggi i giapponesi si concedono per piacere ed intrattenimento, per staccarsi dalla routine quotidiana, per celebrare una festività o un’occasione speciale, magari proprio davanti a uno dei templi principali della nazione. Con foto instagrammabilissima, ovviamente.

Il Giappone è il monte Fuji, una presenza incombente, meravigliosa e delicata allo stesso tempo, perfetta come la cima della montagna incappucciata di neve che disegnavi da bambino, una fotografia da scattare con gli occhi, soprattutto quando le nuvole si diradano per far vedere la bellezza della vetta innevata.

Il Giappone è il rito del tè, perché qui il tè, come in Inghilterra, aggiusta ogni cosa. Tanto quanto noi italiani beviamo i nostri beneamati caffè, i giapponesi hanno il tè matcha o verde, e l’offerta del tè è un gesto di convivialità, di accoglienza, di pace. Un momento per rilassarsi, un momento per pensare.

Il Giappone sono gli omikuji, i biglietti che predicono il futuro. Ne ho fatta esperienza in più templi, ve lo racconterò più avanti nella descrizione del viaggio.

Partiamo dal principio.

Tokyo, l’antica Edo, la città-mondo: più di quindici milioni di abitanti, case, interni, esterni, rigore e serietà, giochi, profumi e colori. Per certi versi ‘occidentalizzata’, ma dove resiste ostinata una profonda cultura autoctona.

Quanto l’ho trovata meravigliosamente pazza! Mangiavo ravioli e kit kat dai colori fluo ai gusti più improbabili e giravo per le strade con il naso all’insù.

In pochi spunti un po’ random, cosa ho visto in quattro giorni nella capitale:

  • ho saltato il Palazzo reale per entrare nei Giardini orientali del Palazzo Imperiale, cura del verde, flora e fauna incredibili.
  • dalla Tokyo City View ho goduto una prospettiva a perdita d’occhio, che addirittura non si vede finire la città: si ammira il panorama fino alla Tokyo Tower, d’ispirazione francese, completata nel 1958 (occhio! … tutti pensano erroneamente sia rossa e invece no! È incredibilmente di un’arancione particolare).
  • ho esplorato i quartieri di Akihabara, dove qualunque, ma veramente qualunque cosa di elettronico… semplicemente c’è! E vetrine piene di action figures prese dai personaggi dei manga più noti. E poi quello di Asakusa, tra sacro e profano. Il tempio di Sensõ-ji è il più antico della città, e manco farlo apposta per me è stato il primo, come quel primo amore che non si dimentica, un tuffo al cuore. Un’enorme lanterna rosso fuoco troneggia all’ingresso, uno dei tanti simboli della città: tutti la vogliono fotografare o perlomeno farsi immortalare lì accanto. E poi il fumo profumato che esce dal braciere davanti agli scalini del santuario, l’odore di incenso e le tante mani che si sventolano addosso, sul viso e su tutte le parti del corpo da sanare, le fontane d’acqua purificatrice, da usare sugli arti e la bocca. Non mi sono fatta mancare il rituale del bigliettino sul mio futuro, come avrei potuto? La procedura più classica prevede che, dopo aver fatto un'offerta, si agiti una scatola di metallo in cui sono contenuti dei bastoncini di bambù numerati e la si capovolga per farne uscire solo uno. Accanto alla scatola c’è una grande cassettiera di legno e su ogni cassetto è indicato un numero: si cerca il numero corrispondente a quello del bastoncino estratto e si ottiene così il bigliettino su cui è trascritta la predizione (Google translate penserà a voi). Nei luoghi di culto più piccoli, mi è capitato ad esempio a Nikko, si trova invece una semplice scatola dalla quale si pesca facilmente il biglietto. E non finisce qui: di fronte al tempio Sensõ-ji si snoda una delle vie più stupendamente colorate della città, un filare di bancarelle che vendono yakata, kimoni, souvenir, gatti della fortuna, daruma dolls, ventagli, giocattoli tradizionali, cartoleria tipica. Mi sono comprata un quaderno in carta di riso che è diventato il mio diario dove alla sera appuntavo scritte-ricordo e di giorno i timbri che sono sparsi ovunque, parchi, stazioni… tutte le volte che ne trovavo uno! Molto meglio comprarlo lì anzichè portarlo dall’Italia! Io ero Alice nel paese delle meraviglie.
  • ho preso il Monorail train per arrivare all’isola artificiale di Odaiba: la Statua della Libertà come tributo al rapporto del Giappone con la Francia, storia complessa, mais c’est ça, e poi il vero simbolo dell’isoletta, la statua di Gundam che ad un certo punto si mette in movimento: rumori e colori flashati di un cartoon d’altri tempi, che tra l’altro poco mi appartiene. Ma decisamente molto d’impatto!
  • ho attraversato Shinjuku, il cuore matto della metropoli notturna, uno degli incroci più trafficati e più noti al mondo, da solo conta un numero di persone di passaggio mediamente più alto della popolazione dell’intera Svizzera: grattacieli e pubblicità incessanti, con quelle vocine vellutate e insidiose da cartone animato. Imperdibile la vista dall’alto dal municipio di Tokyo, l’ingresso è gratuito e c’è un doppio osservatorio, con un bar-caffè all’ultimo piano. È già divertente prendere l’ascensore!
  • non mi son persa l’uscita magica: alla stazione di Harajuku sono entrata in Takeshita street, un universo parallelo! Giuro che mi son chiesta: ‘ma sono ancora a Tokyo?’ È l’ingresso variopinto di una via gremita di persone, colorata, esuberante, l’immancabile Daiso a più piani con tutto a 100 yen, robots, pokemon, tamagotchi e il profumo delle crêpes di Marion. Un’altra generazione di giovani: pieni di colore, pois, righe, tartan, pieghe, svolazzi, tulle. Gothic lolita e cosplayer, con calze, scarpe e copricapi esagerati che girano a testa alta, anche felici di farsi fotografare. È un po’ lo struscio dei giapponesi, un po’ la curiosità lasciva dei turisti - ed è proprio questo il bello: perché il Giappone è anche qui in mezzo. Da lì si arriva dritti dritti al viale alberato di Omotesando, che letteralmente significa ‘la via che conduce al santuario’, per noi un grandissimo Champs-Élysées pieno di negozi alla moda, con moltissimi noti marchi occidentali.
  • ho adorato Il quartiere di Yanaka, la old town di Tokyo. Meravigliose casette con un po’ di verde davanti, le lenzuola della notte stese fuori al mattino a prendere aria, un vecchietto che getta secchi d’acqua pulita davanti a casa, una donna che arrotola gli onigiri in una bancarella, un passante in bicicletta che sta andando al lavoro e si ferma a prendere qualcosa di ignoto, ma estremamente zuccheroso e colorato, in una delle tante macchinette che offrono beveraggi di ogni sorta. Qui non ci sono nè enormi supermercati, nè catene di elettronica: il quartiere è autentico, tagliato su misura per la gente del posto, che non viene disturbata da luci, rumori, insegne fluo. Pacati, misurati, senza lo scintillio di altri quartieri.
  • ho visitato Ueno, che storicamente era considerato il quartiere in città che forniva l’ingresso dalla campagna, famoso per il suo grande snodo tranviario: oggi è soprannominato ‘il bosco della cultura’. Un brulicare di santuari, templi, musei, gallerie, biblioteche, opere pubbliche e passeggiate da percorrere. Ma soprattutto c’è lo zoo, dove ammirare i tenerissimi panda giganti che mangiano bambù scrocchiando coi denti dal mattino alla sera! Animali incredibili, sembrano degli enormi pupazzi, hanno un che di meravigliosamente finto.
  • con 40 minuti di treno sono stata un’intera giornata a Nikko, “Nikkô wo minai uchi wa, kekkô to iu na": se non hai visto Nikkō, non parlare di splendore, annuncia un detto comune. Vedi Napoli e poi muori, vedi Nikkō e aggiornati! Il ponte Shinkyo, che apre la visita, è già un bellissimo biglietto d’ingresso! Come farsi mancare una visita in questa valle dei templi così spirituale, seppur visitata giornalmente da centinaia di persone, completamente in mezzo alla natura?

Da Tokyo mi sono diretta verso le montagne: una giornata all’onsen termale all’aperto (rotemburo) di Minakami, il Takaragawa, un’esperienza che non ci si può far mancare. Una meravigliosa fuga dal mondo, un rituale vecchissimo che tiene con se’ il fascino della storia. Magia pura. 

Il giorno successivo son andata in gita al National Park di Hakone, ho pernottato in un albergo locale (ryokan) con delle bellissime terme interne (uchiyu), chiaramente divise uomini e donne, da fare rigorosamente nudi. Qui tutto è doppio e simmetrico: maschile versus femminile, si scende discreti con addosso solo la yukata e rigorosamente senza le scarpe. E poi ci si immerge in un brivido caldo sensoriale, si parla e ci si lava con le amiche, si crea un’intimità fantastica, decisamente non comune.

Giretto in barca e a piedi intorno al lago Ashi, a partire dal porticciolo di Togendai, poi il trasferimento alla mia tanto sognata Kyoto per i successivi tre giorni!

Kyoto: un Giappone ancora più profondo. Poco chiasso per una città così grande, gli stessi abitanti di una Milano, ma un’area molto più vasta, qualche grida, più che altro poche macchine, molti pedoni, molte biciclette, molti cartelli, quartieri che ricordano un grande passato di capitale del Paese. I mercati, le bancarelle multicolor, la cartolibreria e le porcellane. E poi grandi templi - e se sei molto fortunato cogli una geisha che fluttua per strada. Ecco, forse è questa la quintessenza del Giappone.

Kyoto, in pochi spunti, tutti da approfondire:

  • ho celebrato il classico rito del tè, tappa a mio avviso irrinunciabile per conoscere un pezzo in più di una cultura così magica e piena di rituali tra il sacro e il profano.
  • ho percorso la passeggiata intorno al Kinkaku-ji: il tempio d’oro, una straordinaria bellezza.
  • ho mangiato cose buonissime al Nishiki market, 400 anni di storia, tappa per eccellenza dello street food nazionale!
  • ho passeggiato lungo il Tetsugaku No Michi, il Sentiero del Filosofo fino al famosissimo santuario di Fushimi Inari Taisha, visto al crepuscolo con un fascino tutto suo di luci e ombre. Era una delle mie tappe più attese, non ha deluso le aspettative. E' il simbolo di Kyoto, probabilmente il più bello dei suoi tanti templi, certamente il più famoso ed il più frequentato. Fu un tempio dedicato al commercio, tutte le scritte poste sui Torii, che a prima vista potrebbero sembrarti frasi antiche, in realtà non sono altro le che pubblicità di varie aziende! Mi spiace, giassò che vi ho rovinato un mito, ma tant’è.
  • ho scelto il quartiere di Gion in notturna per una cena a base di ramen bollenti, che ho imparato ad amare. E che mi sono riproposta di riproporre nella mia cucina. L’ho adorato: con il fiume che lo divide a metà, il quartiere ha mantenuto un'atmosfera molto tradizionale, con case affacciate sull’acqua e stradine strette strette che la sera vengono illuminate da lanterne che lo trasformano in un luogo magico. Assolutamente da visitare! Qualcuno ha intercettato una geisha, leggiadra, volatile, impossibile (è vietato!) da fotografare o fermare. Una figura emblematica e talmente antica, da far veramente fatica a comprendere nel pieno significato quel ruolo che ancora oggi, soprattutto a Kyoto e in qualche comunità della capitale, preserva e mantiene.
  • ho visitato il famosissimo tempio di Kiyomizu-dera Temple. Un incanto di colori e migliaia di persone, anche diversi giapponesi in visita, con il kimono della festa a scattarsi foto ricordo! Ho gironzolato nel quartiere sottostante di Higashiyama, pieno di bellissimi negozietti di artigianato e inevitabilmente acchiappa compere!

Facendo tappa a Kyoto mi sono spostata su:

  • Osaka, inclusa visita all’acquario con il famoso squalo balena.
  • Nara, perché non si può non vedere il parco con i cervi liberi, finora il più incredibile visto al mondo e diversi templi, uno più bello dell’altro.
  • Hiroshima, per visitare il Peace Memorial Museum, un tuffo al cuore per le foto, la storia, l’impatto emotivo.
  • l’isoletta di Mijajima, chiaramente raggiunta in traghetto, quella ritratta in diverse foto note, che ha il famoso Torii che spunta dall’acqua, uno dei più grandi del Giappone, fino a 16 m di altezza. Da lì funivia e giretto sulla collina soprastante, vista mare. Incredibilmente suggestivo. 

Prima dell’ultima notte a Tokyo che prevedeva una giornata relax e shopping fino all’orario dell’imbarco serale al mio volo, con solita tappa in Quatar, un’ultima sosta a Takayama, che mi è piaciuta moltissimo: un giretto per la cittadina di montagna e le bancarelle locali, una visita in bus al villaggio di Hida (vero, decisamente turistico, ma qualche volta ci sta anche bene!) con le caratteristiche case dai tetti di torba e foto di rito in riva al laghetto. E, giusto per non farsi mancare nulla, un’altra bellissima uchiyu interna all’albergo per un relax post giornata.

Infine un cenno al cibo, che parlando di Giappone non può mancare, come dire: l’alga del vicino è davvero sempre più verde?!

Intanto: si mangia benissimo e con poco. Le spese più consistenti riguardano i trasporti, mangiare è molto meno costoso che in Italia, si può vivere benissimo mangiando pranzo e cena al ristorante e/o con spuntini vari acquistati ai konbini, nei supermercati aperti h 24 o nei mercati. Un ramen, che io adoro, ed è un piatto completo, costa sui 900/1000 yen (7 euro circa), per capirci. Ovviamente poi ci sono anche ristoranti costosissimi come quelli di carne Kobe o Hyda… assaggiata una volta con un’amica, carne marezzata, morbidissima che si scioglieva letteralmente in bocca, ma abbiamo smezzato il piatto - e il costo!

Caratteristici:

.gli okonomiyaki, tra il mega pancake americano e la classica frittatona piena, a scelta, di ogni cosa commestibile (pesce, carne, funghi, verdure, etc.) che tutti vedevamo in Kiss Me Licia - vi ricordate quello che cucinava sulla piastra Marrabbio?! L’omelette ricopre una montagnetta di riso e (a scelta) delle polpette al sugo. La si deve aprire con le bacchette separandola, lasciando così che il ripieno di uovo scenda sul riso creando una miscela veramente u-a-u;

.quel shabu shabu che sa di condivisione e convivialità con i vicini di tavolo, di derivazione cinese, che è una sorta di ciotolona piena di brodo bollente, in cui ognuno immerge qualunque cosa e si cuoce dentro (la parola onomatopeica ricorda l’acqua che sobbolle, non è vero?);

.i gjoza (i celebri ravioli) e il konkatzu, la cotoletta di maiale fritta e servita con riso e salse;

.la strabenedetta zuppa di miso, sempre presente ed usata come accompagnamento o primo, secondo e contorno…. nei pranzi e cene tradizionali (ma anche a colazione!) - ecco, personalmente questa la lascerei ai giapponesi, perché l’ho trovata insopportabile fin dall’odore! De gustibus.

Aggiungo una cosa importante: per chi è vegetariano è possibile mangiare, ma non c’è molta varietà perché il concetto di vegetariano è ancora abbastanza sconosciuto. Magari si trova sul menu il ramen vegetariano perché non viene messa la fetta di carne, ma occhio che il brodo è sempre lo stesso, fatto con il maiale - e spesso anche il pesce. Bisogna adattarsi un po’.

I loved bao, di origine cinese, morbidi panini di riso con ripieno di ragù bianco, un macinato di carne bollito e speziato veramente super. Dovete per forza accompagnarli con una lattina di Ashai o di Sapporo, le due birre giapponesi per eccellenza! (I bao danno dipendenza: uno non basta mai!) 

Nello street food direi immancabili i takoyaki, palline morbide di farina e polipo, preparate su uno stampino speciale sferico, sempre e rigorosamente a vista del turista. Vengono servite con maionese giapponese e il katsuobushi (fiocchi di tonnetto essiccati) … ehm, adorati dagli amici, io non mangio il pesce e non saprei dirvi molto di più.

Sempre in tema pesce, il sushi: tutti pensano che ci sia solo quello… decisamente no! Molto raro e più costoso che in Italia, ma se incappi nel posto giusto puoi gustare del sashimi di tipi diversi di tonno e branzino, ma soprattutto i nigiri con vari pesciolini, non solo tonno e salmone. Scordatevi le rivisitazioni americane come gli oramaki e le cose standard che trovate all al you can eat. Il vero sushi è sashimi e nigiri. Ma oltre a crudo il pesce è anche fritto in tempura (e qui ci si sbizzarrisce non solo con il pesce, ma anche con verdure e carne!): gamberoni impanati nel panko (una sorta di pan carré grattugiato grosso) e poi buttati nell’olio bollente.

Dolcetti: ho divorato i mochi zuccherosi, ma soprattutto il melon pan, il caratteristico panino dolce giapponese, pieno di burro già al primo morso e i dorayaki, due pancakes morbidi con all’interno una marmellata di fagioli rossi, ma la mia preferita era di castagne.

Ed infine il mio best of: indubbiamente il ramen! Era diventata una sfida cercare l’izakaya con il punteggio più alto su Google per trovare il ramen migliore della zona, fantastico da gustare in un chioschetto, in una gran ciotola bella bollente, con udon o noodles, fettine di maiale, cipollotti o germogli e uova sode o marinate nella soia. Il tutto accompagnato dal brodo di miso, ma ancor più buono con un brodetto di carne, con o senza soia.

Eccomi qui. Sono tornata nella mia Italia piena di sapori, suoni ed immagini, frastornata e felice, con un durissimo jet-lag parecchio nostalgico da smaltire. Solo voglia di silenzio, di casa, di rielaborare, di stare-senza-fare.

Un viaggio, senza volere né potere capire, men che meno interpretare.

Arigato gozaimasu!