Netflix. “Tutto chiede salvezza” di Francesco Bruni

Un paio di riflessioni sulla serie Netflix del momento, tratta dal libro autobiografico di Mencarelli.

Premetto che non ho mai prestato servizio in Diagnosi e Cura, quindi mi esento da fare commenti ‘tecnici’ su una cosa della quale non ho esperienza diretta.
Ho toccato invece con mano situazioni di sanità pubblica territoriale, caratterizzate da terapeuti/neuropsichiatri di diversa matrice, sia formativa, sia umana - chi più empatico, chi meno e vari collaboratori (logopedisti, fisioterapisti…) spesso precari, a contratto, con un carico di lavoro impegnativo: ognuno con la sua deontologia e il suo ‘pezzo’, morale, etico e professionale.

Per questo ho trovato la serie piuttosto calzante e veritiera: anche lì ognuno ci mette del suo, come sa, come può. Si vede una psichiatria a tratti schizofrenica (bel gioco di parole, eh?!), sicuramente non scintillante, che mi sembra sia fatta di alti e bassi, di sbordature, di fatiche, di stanchezze, di grandi fragilità anche (soprattutto!) tra gli operatori, a tutti i livelli. Chi ci sa fare meglio, chi arranca. Ma che immagino esistere ed essere ancora molto attuale: c’è chi tratta il malato mentale come un bambinone (‘dai su, fate la pace e datevi la mano’) e chi gli può urlare in faccia tutta la sua inadeguatezza.
Credo sia inutile, ma soprattutto poco produttivo, far finta del contrario. E tutto sommato bene che emerga ancora oggi anche questo aspetto. Per contro, in qualche scena (soprattutto nel confronto con le famiglie) quella solidarietà tra pazienti, quell’empatia, quell’umanità tangibile ti fa dire, un po’ banalmente, ma realisticamente che forse forse ‘i matti veri sono quelli fuori’. Almeno: a me è un messaggio che è arrivato forte e chiaro, spero così anche ad altri occhi ed orecchie. Che già questo sarebbe un bel successo per scardinare certe stigmatizzazioni.

Avrei solo evitato l’aggiunta della storia d’amore (non presente nel libro), ma penso alle esigenze televisive per rendere più attrattiva una serie… e alla fine un po’ indulgo anche su quello!

So che ci sono colleghi inorriditi innanzi alle discrepanze, a qualche faciloneria, ad alcuni luoghi comuni che magari può cogliere un ‘addetto ai lavori’, ma forse non il tutto il pubblico, come mi aspetto che sia.
Io invece l’ho trovata molto bella e delicata, pur parlando di un tema così forte. Mi ha emozionato ‘nel giusto’, senza esagerazioni: mi sono commossa e ho sorriso, ma nessuna risatona, nessun pianto a dirotto. Attori a mio avviso magistrali, uno più dell’altro - e credo che anche questo abbia fatto la differenza!

Consiglio vivamente!