Disney+. "The bear", di Cristopher Storer

‘Non uccidermi, abbiamo sciolto una confezione di Xanax nel succo!’
‘Sono tutti morti?’
‘No, io credo che stiano dormendo.’
‘Bene, li preferisco così.’
 

Carmy: fin dalla prima inquadratura, con quella faccia lì, gli occhioni a palla, i riccioli scarmigliati, la catenina d’oro, ti viene voglia di prenderlo e stropicciarlo tutto e inizi a fare il tifo per lui. Ma tipo groupie, eh. Ovunque vada e comunque vada. L’aggancio empatico per me è stato immediato. 

Prendersi cura dei propri clienti, ma essere totalmente incapaci di prendersi cura di se’: troppe magagne in testa e nel cuore ancora irrisolte. L’ansia e l’inquietudine che fanno capolino soprattutto di notte, quando le ombre familiari e le storie del passato si allungano, fratelli, sorelle, cugini, zii; una Chicago che divora, lo spettro della tossicodipendenza, dello spaccio e dell’alcolismo. Violenza versus intelligenza, bisogna imparare a trovare nuove strategie.

La frenesia, la velocità, il caos, la velocità, la difficoltà, la velocità! E poi tutti i meccanismi della cucina, quella di una paninoteca fatiscente, dapprima la resistenza dei dipendenti al cambiamento, il ‘sistema’ (miodio il sistema!!!), le cattive prassi, che, seppur cattive (o forse proprio per quello, chissà), sono difficili da scardinare. E il bello è che tutto può facilmente estendersi a qualunque ambiente di lavoro un po’ tossico e alle relative somatizzazioni personali correlate.

Una cucina e i suoi fornelli dunque, la vera protagonista, il simbolo della storia di una famiglia, degli affetti e il cuore pulsante della serie: una cosa reale e viva, che si muove intorno ai suoi personaggi ruvidi, ma che soprattutto vuole dire la sua. Una cucina che un po’ ti fa venire voglia di correre a far la spesa, di fare scorta di pollo, verdure, pane, formaggio, cioccolato - io dico che addirittura potresti cucinare senza neanche accendere il forno - un po’ hai la bava alla bocca quando vedi gli intingoli e ti sembra di sentirne la consistenza e il profumo, un po’ ti schifa su certi particolari volutamente zoomati, quell’uovo rotto che cola, quella poltiglia finita in terra.

Attori belli, freschi, espressivi e di spessore, estremamente azzeccati nei ruoli; inquadrature e musiche che ti fan volare. I Rem poi, quasi commuovere.

E alla fine di questo girotondo incredibilmente vorticoso, di questi intrecci umani unti di grasso, emozioni, dolore ed empatia, pensi che hai decisamente speso bene il tuo tempo con queste otto puntate cotte a fiamma alta e sei proprio felice, come dopo il primo morso ad una ciambella. And so let it rip, bear.

 

(nota: in foto non c'è Carmy, ma ci sono io che cazzeggio sfidando il freddo artico davanti al celeberrimo Noma, il miglior ristorante di tutto il mondo. Proprio quello lì. Solo da fuori eh, ovvio. Erano tanti anni fa, era un'altra storia. E poi oggi ha pure chiuso, figurarsi.)