La benedetta fase 2

Aspettarsi qualcosa significa commettere un minuscolo furto di piacere. Consumare in maniera avventata una gioia di cui non si è ancora in possesso: io penso ad esempio ad un pezzo che mi caratterizza in modo particolare, quello dei viaggi. La gioia dell’attesa e dell’organizzazione: il profumo della guida appena acquistata, le cose da infilare nello zaino. E penso a quando tornerò a volare e non sarà mai stato così bello. A quando sarò libera di andare a prendere cappuccio e brioche al bar al sabato mattina, a quando potrò lamentarmi di dover tornare dal dentista per l’igiene. A quando gireranno di nuovo le risate dei miei amici al pub, a quando dirò ancora che voglio prepararmi bene per una cena o una pizza fuori, che poi finisce che mi vesto sempre uguale. 
In realtà non vedo l’ora di fare un sacco di altre cose, basta togliermi di dosso questo senso di sospensione: è anche per questo che, pur in un momento così, la noia non l’ho mai sentita davvero e mi sono data da fare moltissimo, in tutto quello che servirà per ripartire.
Io oggi avrei anche un bel po’ di belle aspettative e pensieri luminosi, ma cerco di andarci cauta perché so che le aspettative sono un po’ delizia e un po’ croce, tanto motivanti quanto pericolose. Vedo maggio dietro l’angolo e non ho la più pallida idea di cosa e come sarà. Possibile? Vedo le prospettive e le nuove regole (dovranno pur esserci) nebulose. E allora le aspettative le tengo a bada. Perché in nome di un’aspettativa so di aver fatto qualcosa a caso, purché non mettesse in discussione la mia credenza, anzi: sono andata alla ricerca solo di quel che confermasse esattamente ciò che pensavo. Che dirvi? Io penso che alla fine mi sono anche un po’ ritrovata in questo stop forzato, ora a volte sento che ho un po’ paura di riperdermi.