"Psicomagia - un'arte che cura" di Alejandro Jodorowsky

Mi infilo in sala un po’ stanchina come Forrest Gump, alla fine di un lunedì intenso, ma non posso mollare: penso alla mia amica Irene che me ne ha parlato in una sera freddissima, davanti ad un aperitivo improbabile, con noccioline rinsecchite e uno spritz con una fettina di limone. E dopo poco: eccola là, mi compare la promo del film su Facebook, vista assolutamente per caso. Non posso non lasciarmi ‘toccare’: perché se le coincidenze hanno un senso dobbiamo seguirle, a tutti i costi. O perlomeno provarci. Che un po’ di magia, in fondo, c’è anche in questo.

Per Jodorowsky, gran parte dei nostri problemi derivano dalle barriere (quelle che io chiamo regole implicite?) della nostra società, della nostra famiglia di origine e della nostra cultura di appartenenza: sono fattori che ci impediscono di trovare il nostro vero io (chi voglio essere oggi? cosa voglio diventare?). La psicomagia dà una spintarella a liberarsi da queste ‘catene’ (che quelle, ad un certo punto del film, compaiono davvero ai piedi di due poveri malcapitati). Catene, insomma: retaggi, pregiudizi, pattern disfunzionali reiterati negli anni.

Gli atti psicomagici sono impressionanti, talora devo dire esteticamente proprio brutti. Il processo di cambiamento può passare attraverso un corpo nudo, zucche sventrate a martellate e sangue mestruale usato come pittura, il tutto ripreso impietosamente in primissimo piano, al limite della decenza a cui siamo abituati. Gli intervistati, una volta ‘psicomagicizzati’, usano spesso espressioni come ‘leggerezza’ e ‘novità’. Non mi azzarderei a parlare di guarigione (o manderei in frantumi tutta la mia deontologia e nove anni di studio matto e disperato).

Citerei piuttosto il potere curativo di una ‘malia’ fascinosa: in altre parole un ‘effetto placebo’ che può agire nei misteri dell’inconscio e dell’infinita complessità della nostra mente. Un film scomodo, a tratti disturbante, a tratti un pochino noiosetto, dove la violenza un po’ brutale di certe scene si alterna alla ritualità dei gesti che possono essere scambiati per magia. Che dire. Forse possono addirittura diventarlo se lo si crede davvero. Al confine con la personalissima suggestione con cui ognuno di noi fa i propri conti.