"Jojo Rabbit" di Taiga Waititi

Nella settimana della giornata della memoria, vi consiglierei di andare di corsa a vedere questo film. Una satira delicata che ti coccola. Si ride, si sorride e ci si commuove, che poi sono le tre cose meravigliose che mi piace fare davanti al grande schermo.

Il piccolo Jojo ha 10 anni, un patatino biondo più tenero che goffo. Buffo (tragico?) come l'occhio spietato che solo certi bambini possono avere gli attribuisca un soprannome del mondo animale: rabbit, coniglio. Perché degli animali, che pure penso che dovremmo imparare ancora tanto, ma tanto, noi umani abbiamo un’iconografia tutta nostra, che identifica il forte (come un leone), il furbo (come una volpe), il veloce (come una gazzella), il debole (come un coniglio, appunto). [A questo  punto consiglierei caldamente la lettura de ‘La collina dei conigli’, uno dei romanzi più belli della mia infanzia, ma questa è tutta un’altra storia.] 

Il nostro rabbit biondo ci prova in tutti i modi ad essere quel che dovrebbe, spronato dal suo Führer immaginario che quasi quasi fa più simpatia che paura. Ma il nanetto ariano dal sangue puro comincia a farsi troppe domande e a vacillare su un confine di bene/male che mai come allora fu messo così sottosopra. Elsa, una magica ragazza ebrea, gli sdoganerà ogni dubbio. Perché, come dice la splendida mamma Rosie, che alla fine ce l’ha fatta ad insegnargli ad allacciarsi le scarpe da solo: la scelta è tra fidarsi e non avere paura o non fidarsi e avere paura.

Io sono uscita dal cinema contenta e con la faccia bagnata. E pensando che:

a) non vedo l’ora di andare a San Pietroburgo per vedere se mi servono un bambino per cena,

b) in fondo non sarebbe male provare i piselli spuntati come tappi x le orecchie.

Da-non-perdere.