"Coco" di Adrian Molina e Lee Unkrich

La famiglia è una bella zuppa. Come quella di pesce alla catalana, ci sta dentro un po’ di tutto.

Ci sono i fardelli e le zavorre, le regole implicite e le idee perfette.

Le premesse strutturanti comprimono, inchiodano, legano. Dobbiamo allora imparare ad usare idee DE-strutturanti, che ci fanno uscire letteralmente dal “giogo” della struttura familiare: continueremo a farne parte, ma con le nostre regole. O perlomeno: quelle che ci sentiamo addosso oggi. Perché queste continue trasformazioni dei sistemi di appartenenza contribuiscono in modo determinante allo sviluppo identitario, scolpiscono e ridanno vita alle narrazioni di significato.

Un mio professore aveva ipotizzato di “parlare agli antenati” e restituire loro i “malloppi” che per anni ci si portava dalla famiglia di origine. “Grazie, ma oggi non mi servono più“: un po’ disobbedienti, quasi un po’ sleali. Irriverenti, ecco, con quella bella capacità di “andare oltre”.

La terapia familiare è finalizzata a comprendere le dinamiche relazionali su cui si basa l’equilibrio dell’intero sistema e va ad aiutare i vari membri ad individuare (e a modificare!) i comportamenti disfunzionali. Le sedute in cui viene convocata la famiglia – o anche solo una parte di essa – non sono mai  finalizzate a cercare “le colpe” di qualcuno, ma a riconnettere e a far circolare la comunicazione di “sentiti” e “agiti” – simili o anche molto diversi, ipotizzando nuove visioni ed aprendo nuove prospettive. Un pezzo per volta: consapevoli che il sistema omeostatico della famiglia tenderà strenuamente, talora paradossalmente, a “resistere” al cambiamento. 

Nel meraviglioso e misterioso giorno dei morti messicano, Miguel, un giovanissimo aspirante musicista, intraprende un viaggio verso la terra dei propri antenati per scoprire i misteri nascosti dietro i racconti e le tradizioni della famiglia. Una famiglia un po’ ingombrante, ma calda, colorata, affettuosa. Dove occhi e pance ballano e si ride e si piange. Se non avete mai visto Coco siete dei burfaldini, come diceva la Gialappa’s a chi cambiava canale.