Le basi della teoria sistemica

Hai detto Bateson?!

Negli anni ’50 il Gruppo di Palo Alto, formato da Gregory Bateson (antropologo), John H. Weakland (ingegnere chimico), Jay Haley (psicologo sociale) e, dal 1956, anche da Don Jackson (psichiatra), applica la teoria sistemica allo studio della comunicazione di famiglie con membri schizofrenici. Il Gruppo guarda alla famiglia come ad un sistema cibernetico, che si autoregola grazie a meccanismi di retroazione.

Bateson, applicando la teoria dei sistemi alla famiglia e alle strutture sociali, distingue tra retroazione negativa-conservativa (l’informazione riporta il sistema al suo stato iniziale) e positiva (l’informazione aumenta la deviazione del sistema dal suo stato iniziale). Secondo Bateson nei sistemi familiari c’è qualcosa che assomiglia ai plateaux omeostatici, cioè il sistema può andare incontro a una certa oscillazione, funzionale al funzionamento della famiglia, senza che la struttura del sistema cambi.


Successivamente, H. V. Foerster, con la sua innata curiosità intellettuale, l'immaginazione, la sensibilità artistica ed il rigore scientifico che lo contraddistinguono, apre la strada a quella che prenderà il nome di "cibernetica del secondo ordine", un modello che si è rivelato fondamentale per organizzare i contributi emersi nell'ambito della terapia sistemica e della pratica clinica più in generale. In buona sostanza: i clinici e gli psicoterapeuti non devono solo osservare i loro pazienti, ma osservare il loro stesso processo di osservazione.

A completezza delle basi teoriche da cui traggo ispirazione, cito H. Maturana e la sua scienza della complessità: "Il comportamento, essendo relazione tra un sistema vivente che opera come totalità e un ambiente che opera come un'entità indipendente, non ha luogo nel dominio dell'organismo, ma al tempo stesso ne dipende. Altresì detto: il comportamento emerge e prende luogo nel fluire delle interazioni di un organismo e dell'ambiente ed è una relazione dinamica tra questi. In altri termini, i fenomeni fisiologici sono necessari perché si abbia un comportamento, però non lo determinano perché sono coinvolti nelle operazioni di uno solo dei partecipanti. E' soltanto l'osservatore che conserva il doppio punto di vista di porre attenzione, simultaneamente o in successione, alla dinamica strutturale di un sistema e alla SUA relazione come un tutto (...)".

E concludo con il carissimo M. White, uno dei miei autori preferiti. Un sistemico d’avanguardia, con un pensiero prospettico bello, ricco e pieno di spunti. Michael è un assistente sociale australiano e terapista della famiglia, noto come il fondatore della terapia narrativa, un concetto tanto profondo e multisfaccettato da meritare un approfondimento a parte. L’autore ha lasciato un contributo significativo alla terapia familiare, fonte ispiratrice di tecniche adottate anche da altri approcci: "E’ importante che il terapeuta immagini che cosa potrebbe essere significativo per la persona che chiede aiuto e non sia accecato dai criteri soggettivi di quel che sarebbe significativo di nuovi sviluppi nella propria vita e nelle proprie relazioni".

Quattro i presupposti che porta:

  • i sintomi non sono anomalie né difetti che richiedono l’intervento di uno specialista, ma sono strettamente legati alla costruzione di se’ e del mondo, nonché ai rapporti interpersonali;
  • gli individui possono cambiare;
  • gli individui hanno bisogno di altri per cambiare, non cambiano in solitudine;
  • per cambiare devono mutare le narrazioni che organizzano le loro interazioni con il mondo, quindi devono cambiare le autodescrizioni e le descrizioni del mondo.

Una visione concreta ed ottimistica, che lascia un ampio margine alla responsabilità del paziente – oltreché, necessariamente, inevitabilmente, indiscutibilmente… alla dimensione etico-morale del terapeuta.