Da vicino nessuno è normale

Di recente, una discussione con un amico mi ha portato a riflettere su quelli che sono dei piccoli/grandi criteri per definire la ‘normalità‘ di una persona adulta. (Oddio, ma davvero?! Che brutta parola: dai, chiamiamola ‘buon funzionamento complessivo’).
Alla domanda: ‘ma da te vengono a farsi curare i matti?’ (eh già, perché capita ancora di sentirsela fare), o mando a stendere con la serenità di un minatore belga o provo a spiegarmi meglio.
Opto per la seconda.
Il ‘funzionamento’ adulto è qualcosina di molto più complesso e di molto più articolato di quanto si pensi: lasciando stare i matti, con buona pace loro, capita che chi ha voglia e chi sente il bisogno di un percorso terapeutico, in un particolare momento della sua vita, abbia magari semplicemente uno degli aspetti di ‘buon funzionamento’ un po’ traballante.
Ok, vi vado a definire quelli che secondo me sono i principali punti che fanno di quella che (banalmente, ma forse efficacemente) chiameremo ‘normalità’. (Poi non la nominerò più, promesso, ora non me ne volete).
- C’è una valutazione realistica di quello che si è e si ha, insieme alla capacità di esercitare un controllo sul proprio comportamento - è vero che a volte ci sono momenti in cui siamo più impulsivi, è vero che a volte non ci conformiamo esattamente alle norme sociali, ma si tratta di decisioni volontarie non dettate da impulsi improvvisi.
- Ci si vuole bene, si sta ‘comodi’ nell’ambiente in cui si vive, ci si sente accettati dagli altri e in grado di esprimere le proprie opinioni, anche se sappiamo che potrebbero non far parte della maggioranza; in una parola: autostima!
- Si ha una buona capacità di instaurare e mantenere legami affettivi intimi e soddisfacenti con le altre persone, ci sono empatia e sensibilità, unitamente a comportamenti sessuali congrui e rispettosi.
- C’è un buon livello di produttività e di autorealizzazione, ci si sa dedicare con passione ed energia alla propria attività.
Ecco. Se nello specifico momento in cui mi state leggendo, uno di questi aspetti (o anche più di uno) non sta andando, non siete matti. Il valore di un percorso terapeutico lo si ha proprio quando si definisce e ridefinisce insieme il significato di 'patologia' (e, di contro, quello di 'normalità'), nell'introduzione di nuove ipotesi, nella ricomprensione delle rispettive soggettività, nelle cause che l'hanno indotta.

Siamo lì in due, io e il mio paziente, un uomo adulto un po' affatticato dalla vita, poco 'funzionante' rispetto ai canoni - etici, estetici - che la nostra società impone, ma in realtà siamo in molti di più: c'è la relazione che si crea tra noi, il contesto del setting, la sua e la mia visione, le sue e le mie premesse, le sue e le mie responsabilità. Lavoro sempre in una stanza affollatissima.