Ci sono due momenti tumultuosi nella crescita delle sinapsi neuronali: la fase 0-3 anni della primissima infanzia e quella dell’adolescenza. (Adesso che sapete che c’è una base biologica, siete un po’ più tranquilli?!)
Che di adolescenza se ne parla e riparla, ma in definitiva ci si capisce sempre pochino.
Pochi tratti condivisi indiscussi:
  • insofferenza verso le norme comportamentali che trasmettono i genitori: attenzione NON contro i genitori, ma il potere che esercitano;
  • disorientamento rispetto alle calde sicurezze dell’infanzia. 
E poi (può essere) che si vada via via in un crescendo: 
  • fughe da scuola o da casa;  
  • uso e abuso di alcol (e talora di stupefacenti).
Tre paroline magiche che possono aiutare a tenere la barra diritta:
 
Identità: chi sono, cosa posso diventare.
 
Appartenenza: il contesto relazionale di riferimento.
 
Partecipazione: che sia ad una collettività più grande (quantomeno della propria cameretta!), il sistema-famiglia in primis, poi quello sociale più allargato. I ragazzi in questa età devono imparare la capacità di distinguere il bene dal male - e devono impararla così bene da portarsela nella vita.
 
Non vogliono meccanizzazioni, non sopportano gli insegnanti che ’disciplinano’ tutti allo stesso modo e che si muovono così da sempre, come se il mondo non fosse cambiato, come se invece non girasse molto più veloce dei loro piani didattici: i giovani fanno finta di cercare scappatoie, ma vogliono sentirsi controllati, protetti. Pretendono di avere accanto qualcuno che li tolga dal senso perenne di vulnerabilità: il genitore allora non deve temerli e (soprattutto!) non deve aver paura di educarli. Al bando i sensi di colpa e la pedagogia fintamente paternalista ('Sono permissivo finchè non divento anche più autoritario di quanto vorrei e io stesso non mi sopporto') o si entra facilmente nella stessa contraddizione che confonde ruoli, diritti e doveri. Non giocare a braccio di ferro: qui non c'è un vincente, o meglio - potrebbe esserci, ma a discapito di un perdente che cova rabbia e livore. Disappunto e amarezza. E la frustrazione può fare brutti scherzi: crea forze interne che tenderanno a combattere il colpevole, vero o presunto che sia, spesso facendo mettere in campo l'esatto opposto di quanto richiesto. Per il puro-gusto-di. (Chi è genitore di un adolescente un po' ribelle sa bene di cosa sto parlando.)
Buona norma invece è coinvolgerli nel processo decisionale familiare, non certamente nelle questioni di coppia o genitoriali, ma nella quotidianità delle faccende domestiche (cosa e come va fatto), eventuali ospiti in arrivo, spesa, progetti di viaggi o vacanze. Dare loro l'opportunità di una voce, di un parere. Non potranno dire 'Non lo sapevo!' o 'Se solo me l'avessi chiesto!'. E' il principio della partecipazione (ricordate le tre paroline-chiave?): si è più motivati a seguire quanto condiviso che quanto imposto. Tutto qui.